Discorso inaugurale di Donatella Cherubini, Università di Siena, Presidente del Coordinamento Toscano del Risorgimento, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Insieme sotto il tricolore” che si è tenuta il 9 aprile a Siena, presso il Complesso museale di Santa Maria della Scala.
La nostra iniziativa si colloca in un momento davvero delicato, per l’Università italiana nel suo complesso; per la difficile situazione del nostro Ateneo; ma anche per gli interrogativi che sul piano politico e storiografico sono fioriti in questo 150° anniversario dell’Unità d’Italia, riguardo al significato stesso del Risorgimento, e quindi anche riguardo alle sue celebrazioni.
In generale mi sembra che la sentita partecipazione della cittadinanza nelle varie parti d’Italia abbia avuto la meglio su quella cultura politica – spesso lontana dai principi fondanti della nostra comunità nazionale -, e impegnata a negare i valori di indipendenza, libertà, partecipazione politica e civile, che comunque circolarono nel Risorgimento. Come ricorda il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi nel nostro Catalogo – è invece importante che questi valori si consolidino e si saldino definitivamente con quelli emersi in altri momenti cruciali della nostra storia – e quindi con la nostra Costituzione repubblicana.
Nel loro insieme, ci consentono infatti di identificare il nostro popolo con la sua storia, come sottolineava Cavour nel suo impegno a superare l’idea dell’Italia quale mera “espressione geografica”. Identificarsi con la propria storia può anche – e anzi, deve – implicare il confronto con inevitabili limiti o compromessi del Risorgimento o della classe dirigente post-unitaria, senza però intaccare appunto la rilevanza dei valori e dei principi su cui quella storia si è fondata, come invece torna a fare anche una recente storiografia.
D’altro lato, a fronte della crisi universitaria attuale, questa nostra iniziativa ci ricorda una stagione vivace e intensa del nostro Ateneo, che dopo una lunga e prestigiosa storia diventava protagonista del Risorgimento. Se il momento cruciale fu la partecipazione di studenti e professori alla battaglia di Curtatone e Montanara nella Prima guerra d’indipendenza, la mostra e il Catalogo intendono offrire un orizzonte ben più ampio.
Innanzitutto si conferma il tradizionale ruolo propulsore dell’Università nella cultura cittadina e nelle sue proiezioni verso l’esterno. Lo dimostrano i forti legami dei giuristi senesi con Gian Domenico Romagnosi, e poi con l’Antologia di Giovan Pietro Vieusseux, ma anche il loro contributo nel significativo confronto tra tradizione pietro-leopoldina, codice napoleonico e legislazione sabauda, come illustra Floriana Colao. Altrettanto chiaramente emerge il ruolo nevralgico attribuito alle municipalità nella fase neo-guelfa e federale del Risorgimento, collegandosi anche ai valori di autonomia e civiltà della storia di Siena, sottolineati da Antonio Cardini, che estende la propria analisi fino al ‘900.
Dall’occupazione francese sul finire del ‘700 al compimento dell’Unità nazionale, studenti, professori e collaboratori universitari operarono con la diffusione di idee giacobine, carbonare, mazzinane; con la profonda adesione al neo-guelfismo ispirato da Vincenzo Gioberti, che Paolo Nardi approfondisce attraverso la fondamentale figura di Tommaso Pendola; con l’intensa partecipazione alla prima guerra di indipendenza, che Giuliano Catoni ci restituisce con un più ampio riferimento agli ambienti accademici dell’epoca, e sottolineando le difficoltà di adeguarsi alle regole militari, e nel contempo l’ardore patriottico dei giovani combattenti.
Se poi la maggioranza dell’ambiente universitario si piegò alla seconda restaurazione granducale dopo il 1849, alcuni docenti e molti studenti mantennero viva l’opposizione al governo lorenese, spesso con proteste di stampo goliardico e burlesco, e perciò ancor più invise alle autorità.
Infine la mostra e il Catalogo ci consentono di seguire l’affermarsi di due fenomeni tipici del Risorgimento italiano nel suo complesso, senza i quali l’Italia sarebbe rimasta tagliata fuori dallo sviluppo europeo: la spinta modernizzatrice e la nascita di una opinione pubblica nazionale.
Siena visse infatti allora un primo processo di modernizzazione, con la costruzione della ferrovia, ma anche con la sperimentazione del telegrafo – come illustra uno storico del settore come Stefano Maggi -, in cui fu ancora centrale il ruolo degli universitari.
Parallelamente, si delineava il loro impegno nel promuovere giornali, in tutta la Toscana e a Siena, dove la svolta riformista del ’47 portò la nascita del “Popolo”. Specchio della prima guerra d’indipendenza, seguì i moti popolari e le vicende della Guardia civica e universitaria; celebrò Curtatone e Montanara; si impegnò per un regime rappresentativo con garanzie costituzionali. Inoltre anticipò il rapporto tra la tradizionale aristocrazia cittadina e la nuova borghesia imprenditrice, poi affiancate nella futura classe dirigente post-unitaria. Lo dimostrano il ruolo di Augusto de’ Gori Pannilini come direttore e dell’economista Francesco Corbani come ispiratore del giornale, speculare al ruolo politico che nel corso degli anni ’60 ricoprirono a Siena l’imprenditore Policarpo Bandini da un lato e il nobile Tiberio Sergardi dall’altro.
Se con l’Unità l’Università visse un ripiegamento delle tensioni ideali del periodo precedente, restava però una traccia indelebile della lunga trasmissione di idee “liberali”, in nome di quello che Romagnosi chiamava l”incivilimento” della società italiana. La formazione alla politica svolta dai docenti nel Risorgimento, durante le lezioni non era mai stata mera propaganda, bensì impegno nella formazione dei futuri cittadini, in un nuovo Stato unitario – e soprattutto ormai definitivamente lontano dall’ancien régime.
È questo l’aspetto che mi piace di più sottolineare in conclusione, perché la partenza di studenti e professori per la battaglia di Curtatone e Montanara, perché il loro raccogliersi “insieme sotto il tricolore” sono emblematici di quel rapporto culturale e intellettuale più ampio e profondo che li legava, e che ancora oggi rappresenta un esempio per tutta la nostra comunità universitaria.
Donatella Cherubini