LETTERE A SERGIO ROMANO Corriere della Sera 5 maggio
Dopo quanto è stato detto e scritto sulla Triplice in occasione del centenario dell’ingresso dell’Italia nella Grande guerra, vorrei ricordare che l’Alleanza era esclusivamente difensiva e quindi non impegnava gli altri in caso di attacco quale fu quello alla Serbia. Del resto fin dal 1908 la Triplice era stata intaccata dall’annessione della Bosnia Erzegovina.
Paolo Sluga
Caro Sluga,
Quando l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, nel giugno del 1914, ebbe per effetto il brusco peggioramento dei rapporti fra l’Austria e la Serbia, esisteva già un precedente. Un anno prima, alla fine di giugno, con lo scoppio delle ostilità fra la Bulgaria e la Serbia, era iniziata una nuova guerra balcanica, un ennesimo episodio nella storia della spartizione dell’Impero ottomano. L’Austria temette subito che una Serbia vittoriosa avrebbe progressivamente esteso il suo potere sull’intera penisola e insidiato le terre slave dell’Impero asburgico. A Vienna, il capo di Stato maggiore austriaco raccomandò la guerra, anche a costo di provocare l’intervento della Russia. Ma prima di agire occorreva convincere gli alleati, Germania e Italia, che la minaccia rappresentata dalla Serbia era fra quelle previste dalla Triplice per consentire allo Stato aggredito di chiedere aiuto ai suoi alleati. La Germania raccomandò prudenza e il ministro degli Esteri italiano, dopo averne parlato con il presidente del Consiglio (era Giovanni Giolitti), disse all’ambasciatore d’Austria a Roma che la percezione di una possibile minaccia non bastava a giustificare una guerra. «Anche la Germania — gli disse — si sente continuamente minacciata dalla Francia; eppure non attacca la sua vicina né cerca di provocare un attacco». Durante la crisi di Sarajevo, Giolitti non più presidente del Consiglio (era stato sostituito da Antonio Salandra), non era in Italia. Seguì la vicenda da Vichy dove passò una parte del mese di luglio, e da Londra dove rimase per qualche giorno. Poi, mentre la guerra era ormai alle porte, decise di rientrare, ma fece sosta a Parigi ed ebbe un lungo colloquio con il reggente dell’ambasciata d’Italia. Gli raccomandò caldamente di riferire a Roma le sue impressioni. Era convinto che la crisi austro-serba del 1914 fosse la ripetizione di quella del 1913 e che Vienna fosse ancora una volta alla ricerca di un pretesto per saldare i suoi conti con Belgrado. Come nel 1913, occorreva dire agli austriaci con fermezza che l’Italia, nell’eventualità di un conflitto, non si sarebbe sentita vincolata dagli impegni della Triplice Alleanza. Il ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano, nel frattempo era giunto alla stessa conclusione e aveva annunciato pubblicamente la neutralità dell’Italia. Era il 2 agosto 1914. Forse anche questo centenario avrebbe meritato una celebrazione.
Sergio Romano