Il 2 giugno, com’è noto, si festeggia la nascita della Repubblica italiana, sancita con il voto popolare nel referendum istituzionale del 1946.
La celebrazione principale si tiene a Roma, prima con la deposizione di una corona d’alloro davanti alla tomba del Milite Ignoto da parte del Presidente della Repubblica e il sorvolo delle Frecce Tricolori sui cieli di Roma, poi con la Parata militare – e da qualche anno anche civile – ai Fori Imperiali, una tradizione inaugurata nel 1948. Vi partecipano le Forze armate, le Forze dell’ordine, i Vigili del fuoco, la Protezione Civile, la Croce Rossa e una rappresentanza dei sindaci.
Nel corso degli anni tanti cittadini hanno assistito alla sfilata lungo tutto il percorso e in tv, ravvivando il sentimento di appartenenza all’Italia, di orgoglio per la sua storia e per quanto ha saputo costruire negli anni. Una partecipazione che è anche una risposta alle critiche delle forze antimilitariste e pacifiste in nome di una visione edenica della società e del mondo senza più eserciti né guerre, neppure quelle per difendersi dall’aggressione di altri Stati.
Anche tra gli intellettuali e gli esponenti dei partiti democratici e di sinistra, che non hanno mai chiesto la soppressione delle forze armate, c’è chi non ha condiviso la loro trasformazione in un corpo professionale in sostituzione della leva obbligatoria. In primis per il timore che un esercito professionale possa diventare strumento per avventure autoritarie, nonostante che la Costituzione stabilisca che “l’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”. Le opinioni contrarie si devono inoltre alla convinzione che dall’Unità d’Italia in poi il servizio militare sia stato un momento di formazione civica e di partecipazione attiva al dovere di difendere la Patria.
Recentemente dalla maggioranza di governo è venuta la proposta di un servizio di leva volontario e di breve periodo. In occasione della recente adunata nazionale degli alpini, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che l’ha definita «una delle rappresentazioni più straordinarie di cosa sia l’amore di Patria», ha dichiarato che il ripristino della leva «è un tema che si può affrontare, in alternativa al servizio civile», ma «come ipotesi volontaria». Anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa riflette sull’ipotesi della leva, proponendo in alternativa l’idea di una «mini naja di 40 giorni», sempre su base volontaria.
Se è vero che nel passato del nostro Paese l’esercito di leva di cittadini provenienti da tutte le regioni italiane ha spesso acquisito la consapevolezza di appartenere alla comunità nazionale, va pure ricordato che i fanti e i marinai, a differenza dei loro ufficiali, in maggior parte erano analfabeti e con la leva apprendevano alcune conoscenze di base, nozioni di italiano, di storia e di geografia.
In tempo di pace è della scuola il compito di garantire alle nuove generazioni un’adeguata formazione culturale e politica, a partire dalla conoscenza della lingua madre e della storia dell’Italia.
Casomai la questione della volontarietà o meno concerne il servizio civile, come in maniera convincente ha scritto Luciano Violante nel suo libro Il dovere di avere dei doveri, in cui propone il servizio civile obbligatorio per poter dare ai giovani (maschi e femmine) una seria formazione ai doveri di cittadinanza e alla solidarietà sociale. Un tale servizio potrebbe anche essere di supporto agli interventi della Protezione civile in caso di calamità; e ne è stata una conferma la recente tragedia dell’alluvione in Romagna, con la partecipazione di tantissimi giovani che si sono sporcati letteralmente le mani spalando il fango nelle strade e nelle cantine allagate. Dimostrando, tra l’altro, di non essere chiusi in una dimensione individualistica, solipsisticamente impegnati a smanettare sui loro cellulari.
Tornando alla questione dell’esercito professionale, dunque altamente qualificato e dotato di armi sofisticate (e perciò oneroso per le casse dello Stato), fino allo scorso anno ci si poteva aggrappare, per sostenere la sua scarsa utilità, ai molti decenni di pace goduti dall’Europa, un contesto in cui le sole armi da usare sembravano quelle della diplomazia (con l’eccezione dell’intervento Nato del ’98 per fermare le deportazioni serbe dei Kossovari). Va intanto ricordato che negli ultimi decenni più volte si è fatto ricorso all’esercito per affidargli missioni in delicate e drammatiche situazioni internazionali, in casi di emergenza umanitaria o di gravi lesioni dei diritti internazionali; oppure nel nostro territorio in occasione di terremoti e alluvioni in appoggio alla Protezione Civile. Ma il 24 febbraio del 2022, con l’aggressione russa all’Ucraina, si è dissolta l’illusione che l’interdipendenza economica e la tolleranza verso ripetute violazioni della sovranità altrui potessero garantire la pace europea. A scapito del sognato deperimento degli eserciti, questo ha causato nuove adesioni alla Nato e rimesso all’ordine del giorno l’obiettivo di una difesa europea.
Concludendo: gli italiani devono sentirsi garantiti dalla presenza di un esercito di alta professionalità e di lealtà democratica. Ed è in questo contesto che le Forze armate sfilano ogni 2 giugno lungo i Fori Imperiali in nome del bene prezioso della pace e della libertà.
Sergio Casprini