Sabato 27 aprile 2024 alle ore 11 in Piazza Indipendenza a Firenze alla presenza del Gonfalone della città di Firenze è stata posta una corona al Monumento di Bettino Ricasoli da Luca Milani, Presidente del Consiglio Comunale e da Sergio Casprini, Presidente del Comitato Fiorentino per il Risorgimento
Alessandra Campagnano del Comitato Fiorentino per il Risorgimento è intervenuta ricordando la figura di Theodosia Garrow Trollope e il sostegno della comunità inglese di Firenze alla causa nazionale
Lapide di Theodosia Garrow Trollope villino via Savagnoli 1, angolo piazza dell’Indipendenza
27 aprile 1859
Anche quest’anno ci accingiamo a celebrare la data del 27 aprile 1859 che ricorda la fine del Granducato di Toscana e l’inizio della formazione dell’Italia come stato unitario in Piazza Indipendenza guardando ai monumenti di Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi. Quest’anno però è stato aggiunto il ricordo di Theodosia Garrow Trollope e della comunità di stranieri, inglesi soprattutto, che furono partecipi del movimento risorgimentale a Firenze e in Toscana.
Proprio in questa piazza, la piazza di Barbano, si ebbe il compimento di un’operazione politica frutto di un accordo tra gli esponenti di quella che fu poi chiamata la Destra storica, di cui ora in questa piazza, denominata poi dell’Indipendenza, abbiamo il monumento di due dei suoi più illustri esponenti, Ubaldino Peruzzi e Bettino Ricasoli, e i rappresentanti dell’ala democratica, garibaldini e mazziniani, che avevano in Giuseppe Dolfi il loro esponente di rilievo. Fu un’operazione politica che tese a rendere il passaggio dal dominio granducale, ma in realtà austriaco, all’indipendenza e alla libertà dallo straniero il meno violento possibile. Il granducato ormai aveva esaurito la sua funzione storica: la II guerra d’Indipendenza fra il regno di Sardegna e l’Austria con l’intervento di Napoleone III alleato del regno di Sardegna, scoppiò proprio il 26 aprile 1859. Per il27 aprile era stata organizzata una grande manifestazione popolare a favore del regno di Sardegna contro l’Austria. Il granduca Leopoldo II trovò inaccettabili le richieste dei capi degli schieramenti contrari al governo granducale così com’era, e pur avendo abdicato in favore del figlio Ferdinando IV, lasciò la città. Andato via il granduca a Firenze si costituì il governo provvisorio, come già era accaduto nel 1849, formato da Vincenzo Malenchini, Ubaldino Peruzzi e Alessandro Danzini, confermando quello che era già accaduto nei giorni precedenti, quando parte dei soldati dell’esercito granducale il 23 aprile aveva espresso un proclama col quale rivolgendosi ai “fratelli toscani” dichiarava di voler combattere al fianco dell’esercito sardo contro gli austriaci.
Degli avvenimenti di quei giorni dettero informazioni ai loro giornali gli stranieri che soggiornavano a Firenze per periodi brevi oppure come residenti. Ne è testimonianza il cimitero di Porta Pinti, impropriamente detto degli Inglesi perché in realtà di proprietà della Chiesa Riformata svizzera, dove gli stranieri non cattolici trovavano degna sepoltura. Il fatto che quel cimitero ancora oggi sia definito “degli Inglesi” ci dimostra quanto numerosa fosse la presenza dei sudditi di Sua Maestà britannica e quanto contasse nella vita della città. La comunità inglese in quel periodo annoverava fra gli altri figure come i poeti Robert Browning ed Elisabeth Barrett Browning e Thomas Trollope e sua moglie Theodosia Garrow Trollope. Trattandosi di una comunità ben inserita nel contesto sociale e culturale della città, i suoi esponenti erano consapevoli di quanto stava accadendo in Italia e la loro formazione li portava a guardare con simpatia il movimento risorgimentale. Non dimentichiamo che la Gran Bretagna, a differenza degli stati italiani, aveva una Camera dei Comuni, eletta dai cittadini. È vero, erano elezioni su base censitaria, ma già dal 1838 il movimento cartista aveva presentato la People’s Charter, con la quale chiedeva il suffragio universale maschile, lo scrutinio segreto, il Parlamento annuale, un’indennità ai deputati, collegi numericamente uguali e la soppressione del censo. A queste proposte si aggiunsero successivamente richieste di carattere sociale. Anche se il movimento cartista non ebbe successo nell’immediato, mise in moto un vasto movimento di opinione pubblica che dalla madrepatria finiva inevitabilmente per coinvolgere chi viveva nelle colonie o all’estero. Inoltre a Londra avevano trovato rifugio Mazzini e altri esuli che interagivano con i movimenti progressisti sia religiosi sia politici e sociali. Di tutto questo la stampa inglese dava informazione.
La comunità inglese era formata in buona parte da artisti, intellettuali, commercianti che apprezzavano l’Italia e il suo clima, adatto soprattutto a lenire le sofferenze di chi era malato di tubercolosi, malattia molto diffusa nei paesi dell’Europa del Nord. A Firenze inoltre già dal 1820 era attivo il Gabinetto Vieusseux, frequentato sia da figure eminenti della società civile e culturale sia dagli stranieri residenti e di passaggio. È molto interessante sfogliare il registro dei frequentatori, fra i quali si trovano nel corso degli anni personalità come Manzoni e Leopardi, Heinrich Heine, Stendhal, Arthur Schopenauer, Fëodor Dostoevskij e William Makepeace Thackeray. Al Gabinetto Vieusseux era possibile leggere giornali stranieri, prendere in prestito libri ed entrare in contatto con personalità diverse. A questo si deve aggiungere il ruolo degli incontri nei salotti delle case private.
Fra i tanti personaggi illustri e meno illustri residenti troviamo fin dal 1846 i poeti Robert Browning ed Elisabeth Barrett Browning che a Firenze ebbero il loro unico figlio Robert nel 1849. Specialmente Elisabeth già dai fatti del 1848-’49 aveva mostrato aperte simpatie per il movimento risorgimentale e successivamente apprezzò molto l’opera del conte di Cavour. Il suo poema Casa Guidi Windows, pubblicato nel 1851, ispirato alla casa in Piazza S. Felice in cui abitava col marito e il figlio, testimonia la passione con cui partecipava alle vicende che portarono all’unità. Nel 1849, dopo la caduta della Repubblica Romana, in casa Browning si recò anche la giornalista americana Margaret Fuller, in fuga da Roma col marito Angelo Ossoli e il figlio.
Discorso analogo su può fare per Theodosia Garrow Trollope, suo marito Thomas Adolphus Trollope e il padre di lei Joseph Garrow. Siamo di fronte alla loro casa, il villino Trollope, dove i coniugi Trollope abitavano con la madre di lui Frances Milton, la loro figlia Beatrice nata a Firenze nel 1853, e dove aprirono il loro raffinato salotto frequentato da intellettuali inglesi, americani, italiani. Da qui furono testimoni di quel movimento che segnò la fine del granducato di Toscana. Joseph Garrow era un personaggio quanto mai interessante, famoso per aver pubblicato nel 1846 presso la casa editrice Le Monnier la prima traduzione inglese della Vita Nova di Dante. Quasi certamente, come ha dimostrato in un recente saggio Gigliola Mariani Sacerdoti, la figlia non fu estranea a questo lavoro. La famiglia Garrow aveva origini composite: la madre di Joseph era indiana, quella di Theodosia aveva ascendenze ebraiche. Theodosia aveva raggiunto fama di traduttrice delle opere di Giovan Battista Niccolini, Giuseppe Giusti, Francesco Dell’Ongaro. Thomas e Theodosia nel 1847 pubblicarono il primo numero di un giornale da loro fondato, che durò fino al 1848, The Tuscan Athenaeum. Qui pubblicarono poesie e traduzioni – quelle di Theodosia erano talvolta firmate con l’iniziale greca Θ – di argomento politico e sociale come “Morning Song of Tuscany”. Nel primo numero del 30 ottobre 1847 pubblicarono un editoriale patriottico che esprimeva fiducia nella rinascita italiana.
Come recita il testo dell’epigrafe posta sulla facciata del villino Trollope, Theodosia Garrow Trollope “scrisse [davvero] in inglese con animo italiano”: il 27 aprile 1859 inviava alla rivista letteraria The Athenaeum Journal of Literature, Science and the Fine Arts di Londra un testo quanto mai significativo che fin dalle prime parole indicava qual era la posizione dell’autrice:
We have made in Florence a revolution with rosewater.
Noi abbiamo fatto a Firenze una rivoluzione con l’acqua di rose.
Già, “noi”: noi chi? Theodosia si sentiva parte di quella rivoluzione che si segnalava perché non c’era stato spargimento di sangue, una dinastia era stata messa da parte e la stessa Theodosia la sera del 27 aprile insieme con i fiorentini e i toscani si sarebbe addormentata “under the shadow of the Silver Cross of Savoy” (all’ombra della Croce d’argento dei Savoia). È noto che non ci furono atti di violenza perché i rappresentanti delle due posizioni politiche del Risorgimento avevano trovato un accordo proprio per evitare spargimento di sangue. Il lungo lavoro politico e diplomatico degli anni e dei giorni precedenti aveva dato i suoi frutti. E ora vorrei ricordare accanto a Ricasoli e Peruzzi il democratico Giuseppe Dolfi che tanta parte ebbe nel buon risultato della “revolution with rosewater”, al quale un altorilievo è dedicato non lontano da qui in Borgo S. Lorenzo. E vorrei ricordare anche Guido Nobili, un bambino di nove anni che abitava nel palazzo di famiglia in questa piazza che avrebbe ricordato questo giorno di cui fu testimone nell’opera autobiografica Memorie lontane, pubblicato postumo nel 1942.
Anche Thomas Trollope ci ha lasciato un resoconto di questa rivoluzione senza spargimento di sangue nella sua opera Tuscany in 1849 and 1859. L’opera termina con la descrizione della sua presenza fra la folla di appartenenti a tutte le classi sociali in quella piazza fino ad allora intitolata alla granduchessa Maria Antonia, dell’apparizione di un tricolore e della immediata sostituzione del nome della piazza denominata da allora Piazza dell’Indipendenza.
Intellettuali e artisti appartenenti alla comunità anglosassone avevano diffuso al di là delle Alpi un’immagine dell’Italia non ancorata esclusivamente al suo glorioso passato, ma pronta a volgersi al futuro. In questo modo si erano poste le basi di un lungo percorso che aveva trovato nella rivoluzione all’acqua di rose il suo primo successo. L’11 e il 12 marzo del 1860 un plebiscito sancì l’unione della Toscana al Regno di Sardegna e il 17 marzo 1861 il nuovo stato italiano si sarebbe giuridicamente compiuto anche se mancavano ancora Roma, Venezia, Trento e Trieste all’unità territoriale.
Alessandra Campagnano