Il 26 aprile 1859 l’Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna: cominciava la Seconda Guerra d’Indipendenza.
La notte stessa a Firenze, capitale del Granducato, si tenne un’ulteriore riunione dei capi dei vari schieramenti politici (tra gli altri Bartolommei, Ricasoli, Peruzzi, Dolfi) favorevoli all’unificazione italiana, presenti anche molti ufficiali dell’esercito toscano. Fu stabilita per il giorno successivo una grande manifestazione in città e fu nominata una giunta provvisoria. La mattina del 27 aprile una gran folla scese in piazza Barbano, oggi piazza Indipendenza, gridando il proprio sostegno al Regno di Sardegna e lanciando invettive contro l’Austria. Si formò poi un corteo che arrivò fino in piazza Signoria, dal corteo si staccò un manifestante per issare il tricolore a una monofora nella facciata di Palazzo Vecchio come testimonia il dipinto di Enrico Alessandro Fanfani La mattina del 27 aprile 1859.
Il Granduca Leopoldo II, trincerato in Palazzo Pitti con i suoi ministri, era disposto a formare un nuovo governo, a schierarsi contro l’Austria e a concedere una costituzione; per calmare gli animi acconsentì alle truppe di inalberare il tricolore, ma ormai il suo rapporto con il popolo e i suoi leader era compromesso al punto che gli fu chiesto di abdicare e la sera del 27 aprile Leopoldo II lasciò Firenze con la famiglia.
Fu quindi una rivoluzione incruenta, tanto di essere definita la ” rivoluzione di velluto”.
L’11 marzo e il 12 marzo 1860 si tenne il plebiscito che decretò a larghissima maggioranza l’annessione della Toscana al Regno di Sardegna: 366.571 voti favorevoli contro 14.925 contrari. Il cambiamento era stato quindi consacrato dal plebiscito col quale i toscani, a suffragio universale maschile, vollero entrare a far parte del costituendo Regno d’Italia. La sovranità popolare quindi subentrò a quella assoluta, anche se per diversi aspetti illuminata, del granduca Leopoldo II, che si era alienato le simpatie popolari per aver conservato un rapporto di dipendenza dall’Austria. Nell’ideale dell’Italia i Toscani avevano trovato il terreno per una cooperazione politica fra il liberalismo nobiliare più convintamente unitario, quello di Ferdinando Bartolommei e di Bettino Ricasoli, e il mondo democratico di ispirazione mazziniana, guidato da Giuseppe Dolfi.
In quegli anni, al momento della costruzione dell’Unità d’Italia diventò cruciale la questione del regionalismo, che ha alimentato poi per anni un dibattito segnato dal contrasto fra posizioni che spaziavano da orientamenti marcatamente centralisti a tendenze di tipo federalista. Allora la tendenza federalista si divideva tra Cavour in cui prevaleva un’idea di creazione delle regioni quali ambiti di decentramento dell’amministrazione statale in una prospettiva di integrazione unitaria, mentre per Cattaneo l’indipendenza del paese doveva assumere un carattere non già unitario e centralistico, bensì federale con la costituzione degli Stati uniti d’Italia, come logica conseguenza delle profonde diversità storiche e sociali delle sue regioni.
A queste posizioni si contrapponevano le forze politiche della destra storica, sostenitrici di un modello accentrato di amministrazione, sull’impronta di quello già adottato in Piemonte con la legge Rattazzi del 1859. Lo stesso Ricasoli, nonostante fosse legato alla storia politica e sociale della sua Toscana, era un convinto sostenitore dell’unità della Patria e quando fu al governo dopo la morte di Cavour si adoperò per una struttura del Paese in senso centralista, soprattutto quando al Sud il giovane Regno italiano dovette fronteggiare il fenomeno politico-criminale del Brigantaggio.
Con la Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 l’Italia introdusse le regioni nel suo ordinamento giuridico che agli articoli 114 e 115 prevedeva: «La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni.» Ma poi l’effettiva costituzione delle Regioni nel 1970 e soprattutto la Riforma del Titolo V della Costituzione, in vigore dal 2001, che ha modificato i tradizionali rapporti tra centro e periferia, non hanno affatto risolto le problematiche del nostro stato nazionale, emerse al momento della sua formazione nel 1861.
Infatti regionalismo, riconoscimento delle autonomie, decentramento, non vogliono dire, come appare nel dibattito pubblico attuale, costituzione di repubbliche quasi indipendenti; e questo è chiaro soprattutto oggi in questa drammatica emergenza sanitaria, quando la battaglia contro il Covid non solo è nazionale, ma anche internazionale e bisogna essere uniti, saper cooperare, non certo rivendicare anacronistici orgogli regionali.
La Festa della Indipendenza Toscana è stata istituita da alcuni anni per celebrare il contributo decisivo della nostra regione al Risorgimento e ricordare quello che tanti generosi esponenti della politica, della cultura e della società civile toscana, come Dolfi, Peruzzi, Ricasoli, Bartolommei, Poggi, Barellai e altri ancora, hanno dato per lasciarsi alle spalle la piccola patria a favore di quella più grande che si stava costruendo.
Oggi celebrare il 27 APRILE al tempo del Covid significa essere consapevoli che con la grande manifestazione di piazza Barbano iniziava un percorso di crescita politica del popolo toscano nel senso di una cittadinanza, allora italiana, oggi europea senza alcun rimpianto per la Toscana dei municipi medievali o delle signorie rinascimentali, del Granducato dei Medici o dei Lorena.
Sergio Casprini
Francesco Saverio Altamura-
La prima bandiera italiana portata in Firenze nel 1859