Celina Seghi, la donna dei record, ci ha lasciato a 102 anni. La chiamavano topolino, per il fisico minuto, ma ben presto diventò la Regina delle Nevi per le incredibili vittorie. Ieri l’hanno ricordata in tanti. E tra questi anche una leggenda dello sci mondiale, Gustav Thoeni. «Con Celina ci siamo incontrati diverse volte, veniva a vedere le mie gare — ha ricordato commosso —. Una volta ad una gara di Coppa Europa all’Abetone fece l’apripista. Aveva già 80 anni».
Era nata all’Abetone, Celina, il comune montano più amato dagli sciatori toscani, aveva vinto 25 titoli italiani, un bronzo ai mondiali di Aspen del 1950 e altri trofei internazionali e a 81 anni suonati si era «divertita a fare un voletto», come raccontò ai giornalisti, con un parapendio sfiorando le vette più alte dell’Appennino tosco-emiliano. Perché la signora Seghi, sposata con un chirurgo, non era solo una campionessa assoluta, ma una donna straordinaria. Che aveva collezionato record anche nella vita, sfidando l’immaginabile, precorrendo i tempi.
Negli anni 30, quando durante il regime fascista le ragazze studiavano «lavori donneschi», l’emancipazione femminile era un concetto sconosciuto e lo sport femminile aveva una funzione pedagogica legata al sesso di appartenenza, Celina aveva inforcato gli sci dimostrando ai maschi che anche una signorina poteva fare grandi cose. Gli allenamenti erano gli stessi degli uomini: durissimi, spesso pericolosi, senza ausilio di skilift o altre diavolerie tecniche. «Si scia e poi si sale in vetta cantando», rispondeva con ironia a chi le chiedeva dove la trovava tutta quella forza con quel fisico da educanda. Ma aveva anche un grande cuore, la super campionessa. Una mattina vide un bambino chiedere l’elemosina. «Perché non sei a scuola bimbo?», gli chiese. E lui le rispose che non aveva soldi per comparsi libri, cartella e quaderni. Celina non aspettò un minuto in più: andò in una cartoleria, comprò tutto ciò che serviva al bambino e glielo regalò con la promessa che avrebbe iniziato a frequentare la scuola. Tanti anni dopo, incontrò un avvocato. Era quel bambino che, grazie a lei, si era laureato.
Erano tempi formidabili ma non facili e non lo furono neanche quelli dell’immediato dopo guerra. Mentre signori benpensanti si fermavano a guardare stupiti le prime donne alla guida di un’auto, Celina sfrecciava sulle piste da sci di mezzo mondo e vinceva quasi sempre: 37 le medaglie appese al collo, l’ultima nel 1954 a 34 anni, due anni prima del ritiro dall’agonismo per diventare maestra di sci.
Quando decise di ritirarsi crollò un mito, quello della valanga azzurra dell’Abetone e della super-coppia (sportiva). Perché negli stessi anni e negli stessi luoghi brillavano altre stelle: quella di Zeno Colò e del caposcuola Vittorio Chierroni. Se le ricordava sempre quegli atleti e amici. Si allenava con loro nei boschi dell’Abetone e siccome era «il topolino delle nevi», mentre gli altri due erano dei «bellimbusti» riusciva a fare lo slalom tra alberi e cespugli lasciandoli indietro. «Li canzonavo e loro non ci rimanevano tanto bene ad essere battuti da una ragazzina», raccontava spesso la formidabile Seghi. Ma poi, subito dopo, aggiungeva che senza quegli amici e senza allenatori molto severi («mi mandavano a letto presto senza brindisi anche dopo aver vinto una medaglia») non sarebbe diventata una grande campionessa. E probabilmente neppure una donna forte, spavalda, generosa e incredibilmente moderna.
Marco Gasperetti Corriere della Sera 28 luglio 2022