Alberto Lopez Comitato fiorentino per il Risorgimento
Mercoledì 7 dicembre nella Sala Gonfalone del Palazzo del Pegaso ( più noto storicamente come Palazzo Panciatichi ) a Firenze si è tenuta la presentazione del dizionario storico curato da Fabio Bertini “Le Comunità Toscane al tempo del Risorgimento” ( pagg.1529, Editore De Batte, Livorno).
Sono intervenuti Eugenio Giani, presidente del consiglio regionale della Toscana, Cosimo Ceccuti, presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Luca Mannori, direttore del Dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Firenze, Sandro Rogari, presidente della Società Toscana per la Storia del Risorgimento ed infine Marcello Verga, membro per l’Università di Firenze del comitato di gestione del Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Storia delle Città Toscane; moderati da Adalberto Scarlino, presidente del Comitato Fiorentino per il Risorgimento, alla presenza di un nutrito pubblico, nonché del curatore e di alcuni dei suoi collaboratori fra i quali rammento Andrea Giaconi, segretario del Comitato Pratese per la promozione dei valori risorgimentali.
Per ovvie ragioni di brevità non potrò che soffermarmi solo su alcuni dei passaggi salienti di ciascuno, seguendone l’ordine cronologico.
Giani fa subito notare come il lavoro storiografico compiuto vada ben oltre il limite temporale indicato dal titolo dell’opera, partendo da una ricostruzione dei fatti che risale alla seconda metà del ‘700, trattandosi di una premessa ineludibile per una vera comprensione della genesi delle comunità toscane che si configureranno nel secolo successivo. Sottolinea come Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena ( Vienna, 1747 – ivi, 1792 ), granduca di Toscana dal 1765 al 1790 ( quando divenneimperatore del Sacro Romano Impero ), all’amministrazione paternalista dei suoi predecessori ne sostituisca una più responsabile e partecipata attraverso una riforma municipale, volta a favorire un’attività più autonoma degli enti locali, realizzatasi anche attraverso il raccoglimento dei numerosissimi borghi di origine medievale in un numero di comuni di poco dissimile da quello attuale. Risulta così che la Lombardia, che è circa due volte la Toscana, ha ancora oggi circa millecinquecento comuni, ben più di cinque volte quelli toscani!
Scarlino, invece, lamenta come il Risorgimento non trovi più uno spazio adeguato nei programmi scolastici e come il dizionario, grazie ai numerosi riferimenti biografici, oltre alle 1529 schede delle comunità censite, possa contribuire alla conoscenza dei luoghi e delle personalità che contribuirono al faticoso cammino di conquista delle libertà e dell’indipendenza di cui godiamo tutt’oggi. Dopo aver sottolineato le pagine che ricordano Ferdinando Bartolommei, il liberale cavouriano protagonista degli anni cinquanta fino alla insurrezione del 27 aprile 1859, raccomanda alla lettura i capitoli che mettono in risalto la vivacità culturale e politica di alcuni comuni: Cavriglia, con i suoi 34 volontari arruolati nell’esercito sabaudo nella prima guerra dell’Indipendenza italiana e con le iniziative preziose per la cultura popolare, come la costituzione di bande musicali, da quella di Montegonzi alla Filarmonica “Umberto Giordano” ( la cui storia ènel volume di Giovanni Marrucchi, edito nel 2011 per il centocinquantenario nazionale, promosso da Antonella Fineschi della tessa Filarmonica ); Dicomano, con l’eroico farmacista Antonio Baldini e con gli 851 voti del plebiscito del 1860 favorevoli all’unione alla monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele; Incisa, con quello straordinario personaggio che fu Antonio Brucalassi, scienziato, letterato, astronomo, studioso di storie patrie, biografo di quella Lucrezia Mazzanti che nel 1529 si uccise per non sottostare alla violenza di soldati spagnoli; una storia presa da esempio, nel Risorgimento, di sacrificio per la libertà ( come ha ben documentato una recente ricerca di Cinzia Lodi ).
Ceccuti approfondisce il contributo che Pietro Leopoldo diede alla modernizzazione della Toscana tramite l’abolizione dei feudi, le bonifiche della Maremma senese e della Val di Chiana, la costruzione di nuove infrastrutture e la riforma religiosa che pose forti limiti al potere ecclesiastico avvicinando, con la complicità del vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci, il clero toscano su posizioni gianseniste e che costò la condanna di Pio VI. Ma il dizionario è più della ricostruzione dei grandi eventi, è storia delle popolazioni, del loro lavoro e della maturazione della consapevolezza di essere comunità. È la storia del loro contributo ai fatti che condussero alla libertà. Ma le schede, che si contraddistinguono per l’originalità, testimoniano non solo i momenti esaltanti del Risorgimento, ma anche le paure e le resistenze che comprensibilmente ci furono di fronte al cambiamento. Ma cosa resta del Risorgimento nella Toscana di oggi? È quanto si chiede Ceccuti ed è il quesito che sottende tutta l’opera. La risposta resta in parte sospesa, come deve essere per ogni opera scientifica di qualità. In parte, si può dire che di quell’epopea rimane la grande Toscana delle identità collettive.
Mannori osserva come il dizionario sia lo specchio di una sensibilità storiografica recente che presta attenzione al locale per arrivare al generale. Vi è raccontato come i toscani del ‘800 arrivarono a scoprire la dimensione della politica partecipata non dal centro, ma dalla periferia fino ad arrivare a ricomporre un quadro nazionale, in virtù del fatto che all’epoca ciascuno non viveva la realtà nazionale, ma era partecipe di quella locale della comunità. Le schede sono un censimento paziente che ricostruisce un quadro complessivo delle feste, delle tipografie, dei circoli, del volontariato e della nascita dei partiti, cioè dell’insieme di iniziative e cose che contribuirono alla formazione di una sfera pubblica, non trascurando di testimoniare quanto questo cammino di emancipazione sia stato difficoltoso. Ma il dizionario, conclude, è altro ancora. È concepito come un testo di geografia storica che si presta bene ad essere una base per un atlante storico di più facile lettura e consultazione.
Rogari, invece, rammenta come il libro debba essere trattato per quello che è: uno strumento funzionale agli scopi specifici del lettore. Ciò non toglie che possegga una visione di insieme. Infatti, si può notare come la prospettiva storiografica del Risorgimento che scaturisce dalle diverse realtà locali non sia del tutto riconducibile alle tipologie che tradizionalmente identificano la Toscana nelle sue parti. È questa un’altra delle questioni storiografiche sollevate nel lavoro. L’opera si conferma così come un mosaico di tasselli utili per costruire percorsi diversi.
Verga, con riferimento a quanto già detto negli interventi precedenti, invita a prestare attenzione al fenomeno non casuale che le maggiori fratture e rivolte scaturirono proprio dalle riforme che colpivano il culto popolare. Che dove i legami di fedeltà verticale che caratterizzarono l’Antico Regime erano più forti, le resistenze alle riforme leopoldine ed ai successivi movimenti democratici furono più intense. Nonostante queste resistenze, che si protrassero nel XIX secolo, le riforme delle comunità non mancarono di produrre i loro effetti, portando per la prima volta alla partecipazione degli ebrei nelle amministrazioni locali. Con le riforme religiose, invece, la cittadinanza cessò di coincidere con il battesimo. Dopo che le nuove infrastrutture, come la ferrovia, ebbero prodotto i loro effetti di avvicinare fisicamente i territori con le conseguenti positive ricadute economiche, non tardarono ad arrivare anche i mutamenti di opinione più favorevoli al nuovo ordinamento. Sulla proposta di un atlante storico, infine, nota come sia difficile cartografare le differenze che emergono dalle schede.
Concludono brevemente l’incontro Giaconi e Bertini che, oltre a ringraziare quanti hanno contribuito alla realizzazione dell’opera osservano, il primo, l’importanza del dizionario come strumento di consultazione, per conoscere e comprendere il Risorgimento al di là delle mura di appartenenza; per conoscerne le ricadute locali e come il libro sia stato effettivamente pensato come atlante illustrativo ed interpretativo delle riforme leopoldine e del processo risorgimentale. Con l’auspicio che possa avvicinare i lettori ad un periodo storico che per i valori è molto più vicino a noi di quanto si creda. Dell’intervento del secondo, invece, ricordo su tutto una cifra: il lavoro è partito, come di deve, dai dati, rivolgendosi in prima istanza all’ANCI. Interrogati su cosa avessero del Risorgimento, solo il dieci per cento dei comuni interpellati hanno risposto. Di questi i più hanno detto di non possedere nulla. Il dizionario testimonia anche, con le bibliografie che accompagnano ciascuna delle schede del libro, oltre ad altre cento pagine di bibliografia generale, quanto ci sia di inesatto in questa affermazione.
Per me questa presentazione è la migliore risposta che si può dare a quanti contestano la scelta di Giani di aver scelto il 27 aprile come data ufficiale per festeggiare l’indipendenza della Toscana nella ricorrenza della fine del Granducato, avvenuta con l’allontanamento di Leopoldo II di Asburgo Lorena ( Firenze, 1797 – Roma, 1870 ) nel 1859. Il dizionario, infatti, con la sua ricca documentazione testimonia come quel 27 aprile di centocinquantasette anni fa, sancisca non accidentalmente, ma con partecipazione di popolo e in modo consapevole, non senza vicende e risvolti contrastanti, la fine della dominazione straniera della Toscana e l’inizio di un governo autonomo che condusse di lì a poco ( i risultati del plebiscito sull’adesione della Toscana al Regno costituzionale dei Savoia sono del 12 marzo 1860 ) alla scelta libera di far parte dell’embrione di quello che sarebbe diventato lo Stato unitario italiano. Perché non bisogna dimenticare che, per quanto possa essere stato illuminato, Pietro Leopoldo vedeva, comunque, nel piccolo stato dell’Italia centrale un territorio funzionale agli interessi dell’impero di Vienna ed i suoi successori, non esitarono, quando lo ritennero necessario alla conservazione dello status quo, ad adottare provvedimenti liberticidi, come lo stesso mite Canapone che smantellò le garanzie costituzionali edificate prima dei moti del ’48; partire dalla seconda metà del 1850 evitò di convocare il Parlamento, nel ’52 soppresse la libertà di stampa ed accettò fino al ’55 l’occupazione militare con la quale il governo di Vienna intendeva affermare il proprio protettorato sul Granducato. Quindi, bene ha fatto l’amministrazione regionale ad istituire una festività che sia occasione per tutti i cittadini toscani di ricordare il tortuoso cammino compiuto nel passato, più vicino a noi di quanto si voglia riconoscere, verso le libertà.