Museo del Risorgimento Milano
ANNA KULISCIOFF E ANGELICA BALABANOFF: la guerra, l’emancipazione, il voto
E’ stata inaugurata ed aperta al pubblico venerdì 27 novembre alle ore 18 la mostra a Palazzo Moriggia | Museo del Risorgimento, “ANNA KULISCIOFF E ANGELICA BALABANOFF: la guerra, l’emancipazione, il voto”, a cura di Fondazione Anna Kuliscioff in collaborazione con Comune di Milano | Cultura, Servizio Musei Storici, con il patrocinio del Consiglio Regionale della Lombardia, il contributo di Fondazione Cariplo e il supporto di Coop, Synergie Italia e Edifis.
Omaggio alle due donne protagoniste del socialismo riformista italiano, la mostra – di valore documentario – ne ricostruisce le figure attraverso l’esposizione di manoscritti, lettere, libri, fotografie, opuscoli e giornali d’epoca. A completamento della ricostruzione storica, il salotto originale della casa milanese di Anna Kuliscioff e di Filippo Turati, un tempo nell’abitazione al civico 23 della Galleria Vittorio Emanuele. Completa la rassegna una mostra del disegnatore socialista Giuseppe Scalarini con pagine d’epoca e vignette originali, anche inedite, dedicate al tema “la donna e la guerra
ANNA KULISCIOFF E ANGELICA BALABANOFF: la guerra, l’emancipazione, il voto” Palazzo Moriggia | Museo del Risorgimento – piano terra
27 novembre 2015 – 10 gennaio 2016
ingresso gratuito
mart. – dom., 9-13 e 14-17.30
www.civicheraccoltestoriche.mi.it
La Stampa 27 novembre
Amedeo La Mattina
La fucina intellettuale vibrava al numero 23 della Galleria di Milano. Era il salotto di Anna Kuliscioff, la casa della regina del socialismo italiano e del suo compagno Filippo Turati. Lì si riunivano l’intellighenzia riformista di Critica sociale e la redazione femminista della Difesa delle lavoratrici, nella quale lavorava Angelica Balabanoff. In quel luminoso appartamento, dove campeggiava un enorme ritratto di Karl Marx, Anna regnava sovrana. Ordinata, curata, elegante, sempre pronta con la battuta tagliente sulle labbra, odiava tutti coloro che contraddicevano il suo «Filippino», cioè Turati. In quel salotto ogni tanto appariva un giovane baffuto con gli occhi spiritati, la mascella squadrata, il bavero del cappotto alzato e il cappello floscio da brigante. Era il giovane Benito Mussolini. La Kuliscioff non lo sopportava. Lo considerava un anarcoide ignorante e provinciale. Anna non aveva digerito la sconfitta subita dai riformisti nel congresso nel 1912 e la perdita dell’Avanti!, alla cui direzione i massimalisti vincitori avevano messo il focoso romagnolo. Un affronto doppio perché era stato estromesso Claudio Treves, il pupillo di casa Turati. E per ironia della sorte politica, del gruppo dirigente massimalista faceva parte la Balabanoff, che aveva un trasporto non solo politico per il giovane rivoluzionario. Era stata Angelica nel 1904 a scoprirlo in Svizzera e a educarlo ai testi del marxismo, alla cultura e alla filosofia europea. «Se non l’avessi incontrata in Svizzera, sarei rimasto un piccolo attivista di partito, un rivoluzionario della domenica»: è il riconoscimento (l’unico nei confronti di una donna) che il Duce tributava negli Anni Trenta alla rivoluzionaria russa. La quale intanto girava per l’Europa e gli Stati Uniti a gridare (inascoltata) contro il capo del fascismo, «traditore e puttano».
Anna e Angelica. Entrambe russe, ebree, poliglotte, coltissime, provenienti da famiglie ricche, innamorate dell’Italia, degli italiani, della nostra cultura e di quel socialismo mediterraneo che negli Anni Dieci del Novecento sviluppava la migliore tradizione riformista e incubava le sue «eresie» comunista e fascista. Le divisioni politiche tra l’aristocratica Anna e l’intransigente Angelica trovavano pace nella redazione della Difesa delle lavoratrici. Le loro battaglie per l’emancipazione delle donne non dovevano fare i conti solo con la mentalità maschilista. Gli avversari ce li avevano pure nel partito dominato da uomini. Kuliscioff insisteva affinché il gruppo parlamentare socialista presentasse una proposta di legge per riconoscere alle donne il diritto di voto. Turati a casa diceva sì, non ti preoccupare, ma quando arrivava a Roma non se ne faceva mai niente. Anna era un medico, la «dottora dei poveri», che si era laureata con una tesi sull’origine batterica delle febbri puerperali, aprendo la strada alla scoperta delle cause delle morti post partum. Angelica era la «missionaria del socialismo», amica di Rosa Luxemburg e di Lenin. Nei comizi incantava con la sua oratoria da predicatrice. Nel «loro» salotto fece irruzione un’affascinante e giovane veneziana, Margherita Grassini. Anche lei ebrea, sposata con Cesare Sarfatti, un rampante avvocato sionista che aveva detto alla moglie: «Segnati il suo nome perché questo giovanotto sarà l’uomo del futuro». Margherita prese in parola il marito e diventò l’amante di Mussolini, strappandolo all’austera Angelica, che aveva assunto la carica di caporedattore dell’Avanti!.
La Grande Guerra divise Kuliscioff e Balabanoff. La prima, come molti riformisti di allora, finì per essere favorevole all’intervento dell’Italia in difesa della Francia. La seconda rimase un’inflessibile neutralista, venne espulsa dall’Italia e nel 1917 in Russia si tuffò nel fuoco della rivoluzione bolscevica. Si pentì amaramente di avere seguito Lenin. Dopo un lunghissimo giro di boa tra Europa e Stati Uniti, fece ritorno in Italia nel 1947. In odio ai comunisti si schierò con i socialdemocratici di Saragat. Fu l’ennesima cocente delusione che Angelica subì nella sua lunga e tormentata vita, al termine della quale si ricongiunse, anche idealmente, alla compagna Kuliscioff.