All’alba del 20 dicembre scorso, nel carcere Qarchak in provincia di Teheran Samira Sabzian Fard è stata impiccata per avere ucciso dieci anni fa il marito che era stata costretta a sposare appena quindicenne e che la maltrattava. È la diciottesima donna giustiziata quest’anno. Un numero record che si inserisce nel giro di vite messo in atto dal presidente Ebrahim Essebsi e dalla guida suprema, l’ayatollah Khamenei, dopo l’ondata di proteste che ha scosso il Paese nell’autunno 2022 contro le discriminazioni che gravano sulle donne. Da questo fardello – che va ben oltre il velo obbligatorio – era nata la ribellione al grido: Donna, vita, libertà. Se la curda Mahsa Amini era morta dopo l’arresto in quanto “malvelata”, Samira è stata impiccata in quanto omicida, poco importa se all’origine del suo gesto ci fosse terrore, disperazione o legittima difesa. In fondo, entrambe hanno infranto le regole di un gioco che avrebbero dovuto semplicemente accettare e subire. La loro morte è la tragica riprova di un sistema imperniato sull’oppressione delle donne sin dalla loro infanzia.
Le giovani iraniane, pertanto, si sono ribellate al patriarcato imposto in nome di una interpretazione fondamentalista dei testi sacri. La religione viene strumentalizzata, non di rado manipolata, al fine di soggiogare le mogli e le figlie con la pretesa di comandare nella loro vita. Chi rifiuta la sottomissione alla dittatura dell’islamicamente corretto, alle prescrizioni e ai divieti imposti nel nome di Allah, tradisce la comunità, ne macchia l’onore e va perciò punito. La cultura patriarcale, insomma, domina in maniera totalitaria nei regimi teocratici islamici, che siano l’Iran degli ayatollah o l’Afghanistan dei talebani.
Nulla di tutto questo nell’Occidente democratico e secolarizzato; bisogna risalire ai tempi dell’Inquisizione cattolica e dei roghi delle streghe tra il XV e il XVII secolo per ritrovare una cultura e una società di tipo patriarcale oppure negli anni dell’affermazione in Europa del cristianesimo, quando si può trovare scritto nella Summa teologica di Tommaso D’Acquino parole come queste: La donna è in rapporto con l’uomo come l’imperfetto ed il difettivo col perfetto. La donna è fisicamente e spiritualmente inferiore…. Essa è addirittura un errore di natura, una sorta di maschio mutilato, sbagliato, mal riuscito.
In Italia negli ultimi mesi sta avendo grande risonanza il susseguirsi dei cosiddetti “femminicidi”, e ciò giustamente ha suscitato lo sdegno dell’opinione pubblica e la richiesta di un intervento più deciso da parte delle istituzioni sia sul piano repressivo che su quello educativo e culturale. Dovremmo comunque ricordare sempre che, a differenza dell’Iran dittatoriale e ferocemente maschilista, in Italia viviamo in una società democratica, dove, se pur esistono ancora disuguaglianze di genere sul piano sociale ed economico, le donne hanno avuto e hanno ancora la possibilità di riscattare il loro ruolo storico di subalternità all’uomo in un lungo processo di emancipazione, nato negli anni del nostro Risorgimento, fino alla Resistenza e alla nascita della Repubblica, in cui sono state protagoniste insieme gli uomini, per proseguire con le lotte e le riforme degli anni ’60 e ’70.
Va ricordata tra le altre la figura della socialista Anna Kuliscioff, che si batté per il voto alle donne agli inizi del secolo scorso, obiettivo finalmente raggiunto nel 1946, a cui è seguita una crescente partecipazione femminile alla politica anche con l’assunzione di rilevanti ruoli istituzionali. Per questo assumono un forte valore simbolico le figure di Samira e di tutte le iraniane che combattono contro l’oppressione patriarcale, rischiando la galera e la morte, per poter vivere in una società pienamente democratica.
Sergio Casprini