«[…] La porta Pia era tutta sfracellata; la sola immagine della Madonna, che le sorge dietro, era rimasta intatta; le statue a destra e a sinistra non avevano più testa; il suolo intorno era sparso di mucchi di terra; di materasse fumanti, di berretti di Zuavi, d’armi, di travi, di sassi. Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti. […]» Edmondo de Amicis Le Tre capitali, Torino, Firenze, Roma, 1898
Il 20 settembre 1870 il tratto di mura aureliane tra Porta Pia e Porta Salaria fu l’obiettivo dell’attacco principale sferrato dalle truppe italiane guidate dal generale Raffaele Cadorna in vista della conquista di Roma.
Il cannoneggiamento delle mura iniziò alle 5 di mattina. Pio IX aveva minacciato di scomunicare chiunque avesse comandato di aprire il fuoco sulla città. La minaccia non sarebbe probabilmente stata in ogni caso un valido deterrente per l’attacco, fatto sta che l’ordine di cannoneggiamento non giunse da Cadorna, bensì dal capitano d’artiglieria Giacomo Segre, giovane ebreo comandante della 5ª batteria del IX° Reggimento, che ovviamente non sarebbe incorso in alcuna scomunica. Dopo che i primi colpi di artiglieria ebbero colpito le mura, il papa ordinò al generale in capo delle truppe pontificie H. Kanzler di limitare la difesa al tempo necessario per affermare la protesta della Santa Sede e di aprire le trattative di resa ai primi colpi di cannone. Tuttavia Kanzler preferì rinviare le sue decisioni e verso le ore dieci dal campo pontificio fu esposta la bandiera bianca dopo un assalto del 40° reggimento di fanteria, nel momento in cui i reparti italiani più prossimi all’ampia breccia nel frattempo aperta nelle mura dall’artiglieria davano inizio all’entrata degli italiani in Roma. Lo scontro a fuoco quindi durò poche ore e non ci furono molti caduti nei due eserciti. Secondo i dati forniti dal Generale Raffaele Cadorna nel suo libro La liberazione di Roma, l’intera campagna di occupazione del Lazio costò 49 morti e 141 feriti all’esercito italiano, 20 morti e 49 feriti a quello pontificio. Se pertanto l’episodio militare della Presa di Porta Pia non va certo ricordato tra le imprese più significative del nostro Risorgimento per l’eroismo e il sacrificio dei patrioti italiani, ha però sempre avuto un forte valore simbolico nel processo di unificazione nazionale, anche se fu la ragione della grave frattura politica e diplomatica tra Chiesa di Roma e il giovane Regno d’Italia. Va infatti ricordato che l’anniversario del 20 settembre è stato festività nazionale fino alla sua abolizione dopo i Patti Lateranensi nel 1929, che hanno sancito la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Papato e Stato italiano.
Giuseppe Vizzotto 1892 Museo di San Martino
Il maggiore Giacomo Pagliari, colpito a morte dall’esercito papalino
Dopo la caduta del fascismo e la nascita della Repubblica, solo le associazioni laiche, i radicali, i liberali e i socialisti hanno ogni anno commemorato il 20 settembre, talora con l’adesione delle istituzioni civili nei luoghi simbolo del Risorgimento. La Santa Sede da anni però non ha più le posizioni politiche oltranziste del 1870. Già nel 1962, il Cardinale Montini, futuro Papa Paolo VI, affermò che il papato, perdendo il potere temporale, aveva ripreso “con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da risalire a tanta altezza nel governo della Chiesa e nell’irradiazione morale sul mondo, come prima non mai.” E va pure ricordato che negli anni del Risorgimento religiosi e pensatori cattolici avevano manifestato il loro amore per l’Italia, come, per citarne alcuni, Ugo Bassi, Don Giovanni Verità, Antonio Rosmini e Vincenzo Gioberti.
Invece nelle manifestazioni delle associazioni laiche, purtroppo con scarsa partecipazione popolare, risuonano ancora accenti anticlericali come se fossimo ancora ai tempi del Sillabo e di Pio IX, quando ormai da tempo la Chiesa di Roma ufficialmente riconosce i principi democratici e repubblicani dello Stato Italiano e della sua Carta Costituzionale, senza alcun rimpianto per il passato potere temporale. D’altronde lo stesso Stato repubblicano, recependo in Costituzione i patti Lateranensi, al di là del giudizio storico e politico che se ne può dare, ha voluto riconoscere i valori del cattolicesimo come fattori costitutivi della storia del nostro Paese.
Le commemorazioni del 20 settembre dovrebbero quindi avere lo scopo di rafforzare una memoria condivisa dei valori del Risorgimento tra gli italiani laici, cattolici e non credenti, superando anacronistici steccati ideologici.
Con il 25 aprile, il 2 Giugno, il 4 Novembre, il 17 marzo, anche il 20 Settembre è una data fondamentale in quel processo storico, che ha visto l’affermazione dell’Unità, dell’Indipendenza e della Democrazia nel nostro Paese. Una data che deve tornare a essere come il 17 Marzo una solennità civile, di modo che la sua celebrazione contribuisca non solo a trasmettere i valori e gli ideali dei nostri nonni ai giovani di oggi, ma anche a rafforzare la nostra identità nazionale e la coesione sociale. Altrimenti sarebbe difficile superare lo smarrimento, le divisioni, la perdita dell’interesse generale, la crisi dell’etica pubblica; e a maggior ragione in momenti drammatici come quelli che stiamo vivendo a causa dell’attuale pandemia. In altre parole, si tratta di fondare quella religione civile che ancora manca alla nostra Nazione e che invece può rianimare tra gli Italiani un comune sentimento di appartenenza e una condivisa volontà di costruire un’Italia migliore, degna del suo glorioso passato politico e culturale.
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