Ivana Zuliani Corriere Fiorentino 31 dicembre 2020
Il 2021 inizia con un’esperienza che va oltre l’umano: «trasumanar» per dirla come Dante
È questa la parola, che è stata scelta per il primo gennaio, del «calendario dantesco» dell’Accademia della Crusca: per ciascuno dei 365 giorni dell’anno, in cui si celebra il settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta, l’Accademia dedicherà un diverso termine o espressione di Dante, pubblicandoli sul proprio sito e sui canali social.
Un modo per sottolineare la creatività, l’attualità e la leggibilità del linguaggio del poeta. Si tratta di locuzioni, motti, latinismi, neologismi creati da Dante, che fanno ancora parte del nostro patrimonio linguistico. Espressioni divenute proverbiali come «lo bello stilo», lo stile poetico di cui Dante è fiero, o «color che son sospesi», passato nell’italiano come forma per indicare uno stato di incertezza e di attesa; «il ben dell’intelletto», oggi espressione usata per indicare la pienezza della razionalità umana, o «bella persona», con cui Francesca da Rimini definiva il suo corpo, oggi invece riferita a doti morali come generosità e lealtà.
Ci sono poi i latinismi che arricchiscono il volgare come «baiulo», il portatore del segno dell’Impero, cioè l’imperatore, «colubro», il serpente che indica l’aspide con cui Cleopatra si diede la morte, «rubro», il rosso che Dante usa soltanto nell’espressione «lito rubro» per indicare il Mar Rosso.
Ma l’Alighieri non aveva paura di inventare parole nuove, soprattutto per descrivere l’esperienza paradisiaca e la dimensione sovra-umana. Creò così neologismi, dal «immiarsi» per indicare l’identificazione e la comprensione totale con l’altro o «trasumanar» appunto. La vita perfetta di Beatrice la «inciela», cioè la mette nel cielo, e Beatrice «imparadisa» la mente di Dante, rendendola adatta a contemplare le cose celesti. Il «tetragono» è chi è capace di resistere agli urti della sfortuna, il «botolo» è un cane piccolo, ma che si sfoga nell’abbaiare, e «broda», poi non è il brodo dei cuochi stellati, ma l’acqua del fiume infernale, fangosa, paludosa e fumosa. Non basta ancora: «bruti» sono non uomini, ma quasi animali, incapaci di desiderio di conoscenza, come insegna il canto di Ulisse. Risale a Dante anche la più antica voce onomatopeica dell’italiano scritto: «cricchi», con cui il poeta rende il rumore dello scricchiolio del ghiaccio che sta per rompersi, riferendosi al Cocito, il fiume infernale.
La parola di Dante, «fresca di giornata» nonostante i suoi sette secoli, sarà accompagnata tutti i giorni da un breve commento.