Luigi Garibbo, «Veduta del Real Palazzo delle Cascine», 1825
Da podere di caccia a parco urbano: alla riscoperta delle metamorfosi del polmone verde di Firenze che ha vissuto stagioni creative, ma ha anche sofferto amputazioni botaniche e ambientali
C’è un rapporto tutto particolare fra le Cascine e Firenze. Di amore e odio; o se non proprio odio, di indifferenza. E ciò proprio a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso: una sorta di accanimento a trasformarle, considerando quell’area quasi alla stregua di un’area di potenziale edificazione. Un atteggiamento quasi incomprensibile per una città dov’è nato il giardino «all’italiana» e che ha dato, con la realizzazione buontalentiana di Pratolino, la dritta a tutti i parchi d’Europa. Ma com’è andata? Complice il silenzio, per piccoli passi, per incomprensioni, con provvedimenti e determinazioni discutibili o autoritarie.
Bisogna riportarsi ad Alessandro dei Medici (costruttore della Fortezza) e ai suoi acquisti per la «tenuta dell’isola», per potervi fare l’allevamento di bovini ed ottenerne latte e cascio (da cui Cascine): siamo nel 1532. Il succedersi dei Medici (Cosimo, Francesco, Ferdinando) accrebbe il «podere» acquisendo nuove aree contigue, fino a configurarne una vera e propria «bandita di caccia» che prefigurerà il «parco». Infatti, in un documento del luglio 1599 — «Aggiunta alla bandita delle Cascine dell’Isola» — vi si legge: «Il serenissimo Granduca di Toscana e per S.A.S. gli spettabili signori Otto di Balia della città di Firenze. Vedendo che tutte le lepri, e capri, e starne, e altri animali che la prefata S.A.S. fa mettere nella Bandita delle Cascine dell’Isola per la sua strettezza, che tutti sono ammazzati fuori della bandita perciò per il pubblico bando aggiungono alla detta bandita dal ponticello delle Barche, come va l’acqua, e stradone de’ Mori per insino a Peretola e attaccando con la bandita delle Cascine».
Dopo un lungo periodo di modesto interesse con gli ultimi Medici, l’attenzione per le Cascine si ravviva con l’arrivo di Francesco Stefano di Lorena; la gestione passa all’Ufficio delle Reali Possessioni che realizzerà nuove e più attente opere manutentive, creando anche la premessa di una successiva apertura al pubblico. Nel frattempo, maturano nuove tipologie di giardini (il giardino francese e quello inglese, caratterizzati da estesi parterre) che mutano il gusto e indirizzano verso nuovi assetti il verde «peri-urbano», che comincia ad aprirsi alla cittadinanza. Al Granducato di Toscana, e quindi a Firenze, Pietro Leopoldo di Lorena (1765–1790) porterà cultura innovativa ed apertura verso l’Europa, introducendo riforme di grande caratura civile. Alle Cascine si realizzano nuove opere, nello spirito delle analoghe realtà europee. Si realizza il Casino di Caccia (con l’architetto Manetti), motivando la necessità dell’intervento col fatto che non vi fosse alcuna costruzione finalizzata all’uso del parco. Presto si cambia indirizzo e dai «comodi rurali» ci si indirizza a manufatti tesi allo svago e al riposo della corte. È così che, a vario titolo, si chiamano, per competizioni concorsuali o per incarico diretto, altri tecnici come Gaspero Maria Paoletti e il Salvetti. Del 1791 disponiamo di una importante «Pianta della tenuta delle Reali Cascine dell’Isola, sopra la quale si notano i diversi oggetti, che potrebbero costituire la pubblica festa di gioia … del futuro mese di luglio»: si tratta di un progetto-programma ove il Manetti dà sfogo alla sua fantasia creativa, nella tradizione dei festeggiamenti e degli allestimenti effimeri di Firenze. L’intitolazione delle «Giornate di festa» (Il ballo campestre, i giochi della Civetta, della Battaglia del Gallo) ci dicono che a quella data le Cascine hanno già maturato la loro «vocazione pubblica».
Nella breve stagione del Regno d’Etruria si confermerà così la vocazione pubblica del parco, secondo una progressiva etica popolare, accelerando anche nuovi studi di messa in sicurezza dalle esondazioni dell’Arno. Con la «restaurazione» (1814) le Cascine tornano ad essere amministrate dalle «Regie Possessioni» e trovano nuovo impulso con alcune nuove fabbriche, ma soprattutto con la propensione ad un nuovo grandioso accesso. Più tardi, si confermeranno quale «salotto buono» della mondanità cittadina. Ad accrescere in questo secolo il concorso alla passeggiata contribuirono non solamente l’aumentata popolazione e il progredire del lusso di cavalli e carrozze, ma anche la conseguente introduzione di costumi stranieri.
Si giunge così all’Unità d’Italia, maturando nuove «addizioni» di manufatti, quale il «Tiro Nazionale» e il «Tiro al Piccione»; fu approvata la nuova «Barriera d’accesso al Parco», studiata dal Francolini e dal Cacialli. Nel 1867 si realizza il monumento funebre al principe Rayaran Maharaja di Kohlapur, il noto «Monumento all’Indiano». Ovviamente, la grandeur che non poteva non caratterizzare il Piano Poggi per Firenze Capitale, fu ricca di attenzioni per le Cascine e, soprattutto, ancora una volta, per la nobilitazione dell’ingresso. Trattazioni letterarie si avranno da Yorick, dal Carocci, da Roberto Papi; mentre le immagini più suggestive saranno affidate a Francesco Vinea e alle foto di Alinari
Il XX secolo non è generoso di attenzioni con le Cascine: il «Gioco del Pallone», il «Ciclodromo», il «Circolo del Tennis», la «Scuola di Guerra Aerea», le «Tribune del Galoppo», il «Tiro a segno», la «Piscina», gli «Uffici comunali» ed infine il Ponte della Tramvia, non concorreranno certo a quella conservazione che sarebbe stata auspicabile.
Francesco Gurrieri Corriere Fiorentino 28 ottobre 2023