La sala, conosciuta come la Sala di Vittorio Emanuele II, venne inaugurata nel 1890, in uno spazio prima diviso in due piani, nel primo dei quali teneva le udienze il Podestà, mentre in quello superiore avevano sede i trombetti del Comune e la scuola di musica che essi gestivano. Alla morte del primo sovrano dell’ Italia riunita, Vittorio Emanuele II appunto, a Siena si decise di onorarlo dedicandogli una parte del Palazzo Comunale.
L’ iniziativa si proponeva di ripristinare l’ antico costume di celebrare determinati avvenimenti eternandoli sulle pareti del Palazzo Pubblico, che era andata affievolendosi durante i secoli XVII e XVIII.
Come coordinatore del ciclo pittorico venne incaricato Luigi Mussini, carismatico e austero fondatore di quella Roccaforte del Purismo che diventò l’Istituto d’Arte di Siena sotto la sua direzione, mentre le grandi scene illustranti gli avvenimenti principali che avevano segnato la vita del Savoia, furono realizzate dai più noti suoi collaboratori e allievi.
Pietro Aldi, di Manciano, affermatosi come pittore di storia nonostante fosse morto in giovane età dipinse “L ‘incontro tra Vittorio Emanuele II e il Generale Radetsky a Vignale” per la firma dell’armistizio che poneva termine alla Prima Guerra dell’ Indipendenza italiana e il famossissimo “Incontro di Teano” tra Giuseppe Garibaldi e il re.
Amos Cassioli, di Asciano senese, realizzò le due battaglie, quella di “Palestro” e quella di “San Martino“, decisive per le sorti della Seconda Guerra di Indipendenza.
Il senese Cesare Maccari, quello che tra i suoi colleghi avrebbe riscosso i maggiori consensi e più ambiti incarichi, come la decorazione della Basilica di Loreto e di Palazzo Madama a Roma, dipinse invece la scena raffigurante “Vittorio Emanuele II riceve in Firenze il plebiscito dei romani”ambientata nella sala del trono di Palazzo Pitti e quella del “Trasporto della salma di Vittorio Emanuele II al Pantheon“.
Gli affreschi vennero eseguiti tra il 1886 e il 1888, compresi quelli, decisamente meno raffinati, del soffitto e rappresentanti “L’allegoria dell’ Italia libera” e tutte le “Regioni”che formavano il giovane Stato di vari artisti, fra cui Alessandro Franchi.
La sala ospita anche due vetrine che contengono cimeli risorgimentali, tra cui la divisa che il re aveva indossato alla battaglia di S. Martino e che lui stesso aveva donato a Luigi Mussini, per ringraziarlo di un bel ritratto eseguitogli, custodita nella elaborata teca scolpita dall’ intagliatore senese Pietro Giusti.
Vi sono state poi collocate alcune sculture di artisti senesi dell’ Ottocento, come Giovanni Duprè, Tito Sarrocchi, Enea Becheroni e soprattutto la monumentale “Il Dolore di Emilio Gallori, qui trasportata negli anni ’30 del XX secolo.
I luoghi
La battaglia di Tolentino
Tolentino è un comune italiano di 20.769 abitanti della provincia di Macerata nelle Marche.
Tolentino nelle storia del Risorgimento …Nel 1797 viene stipulato il Trattato di Tolentino tra Napoleone Bonaparte e Pio VI con il quale la Chiesa deve accettare dure imposizioni economiche e territoriali. Nel 1815 si combatté nelle vicinanze della città la battaglia di Tolentino, tra Gioacchino Murat e l’esercito austriaco, da cui Murat uscì sconfitto, e Tolentino tornò territorio pontificio fino all’Unificazione d’Italia del 1861…
Comunicato dell’’Associazione storico-culturale Tolentino 815
La Giunta Comunale di Tolentino ha approvato l’Atto di Indirizzo per le Celebrazioni del Bicentenario della battaglia di Tolentino, con Deliberazione n. 476 del 11 novembre 2013, evidenziando la grande importanza della collaborazione avviata da molti anni tra il Comune di Tolentino e l’Associazione Tolentino 815, e rimarcando la necessità di consolidarla. L’Associazione infatti ha presentato da tempo un ampio programma per commemorare la battaglia, combattuta il 2 e 3 maggio 1815 tra l’esercito di Giacchino Murat, Re di Napoli e quello austriaco del Barone Federico Bianchi, considerata la prima per l’Indipendenza Italiana, aperto alla partecipazione e contributo di Enti, Associazioni, Scuole e Università.
In esso l’elemento centrale è la Rievocazione storica Tolentino 815 al Castello della Rancia, la cui continuità in Italia non ha eguali relativamente al periodo napoleonico, per la peculiare caratteristica di spettacolarità e capacità di attrarre grandi masse di pubblico, oltre all’allestimento nel centro storico di Tolentino Ottocento, un ritorno indietro nel tempo di duecento anni. Il Bicentenario non deve riguardare solo Tolentino ma ogni città ove è avvenuto un fatto storico durante tutta la campagna militare del Re di Napoli dal marzo al maggio del 1815 e fino ad ottobre con la fine di Pizzo; in ognuno si potrà svolgere una rievocazione nello stesso giorno di 200 anni prima e promuoverla tutti insieme per amplificarne la conoscenza.
Ma il programma si dovrebbe sviluppare in contemporanea con il progetto del “Parco Storico Regionale di Tolentino e Castelfidardo”, di cui la Regione Marche ne ha riconosciuto la validità con la Legge Regionale 9 febbraio 2010, n. 5 “Valorizzazione dei luoghi della memoria storica risorgimentale relativi alla battaglia di Tolentino e Castelfidardo e divulgazione dei relativi fatti storici”. L’obiettivo è coinvolgimento dei 20 comuni collegati alla battaglia di Tolentino con incontri tematici e con “Marca 800 Festival – Saperi e Sapori” una Rassegna in forma itinerante sulle Arti dell’epoca, oltre alla Cavalcata storica e la Pedalata storica tra Tolentino e Castelfidardo.
Le celebrazioni possono iniziare fin dal 2014 e continuare per quasi tutto il 2015, prevedendo una serie di iniziative di alto livello: un Convegno scientifico internazionale e relativa pubblicazione degli Atti, il Museo Marchigiano del Risorgimento esposto al Castello della Rancia, una Mostra delle antiche cartografie militari e civili, Concorso fotografico nazionale, il Processo alla storia pubblico a Murat o Battaglia, un Monumento commemorativo del Bicentenario della battaglia.
L’Associazione storico-culturale Tolentino 815 opera da oltre 17 anni con lo scopo di promuovere dal punto di vista culturale e turistico Tolentino: ha curato in questo periodo moltissime iniziative di vario genere legate al periodo napoleonico nel maceratese, promosso comitati e gemellaggi tra Associazioni, Enti, Istituti scolastici, e pubblicato otto Libri, tredici Guide alla Rievocazione, due Videocassette, un War-game e un CD-Rom. Si tratta ora di iniziare la fase operativa del Bicentenario della battaglia con la designazione, da parte del Sindaco di Tolentino, del Comitato Promotore e del Comitato Scientifico, in modo che tali organismi si possano riunire al più presto per decidere e programmare gli eventi.
La Fondazione Montanelli Bassi
La Fondazione Montanelli Bassi di Fucecchio, istituita per volontà di Indro Montanelli nel 1987. ha lo scopo di conservare, valorizzare ed estendere il patrimonio della biblioteca di cui è attualmente dotata; promuovere studi e pubblicazioni sulla storia, le tradizioni e la cultura del territorio del comune di Fucecchio; istituire borse di studio; collaborare con il Comune di Fucecchio o altri enti per promuovere mostre, incontri e dibattiti su temi inerenti alle proprie finalità costitutive; assumere iniziative per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale ed ambientale di Fucecchio e del suo territorio (Padule di Fucecchio e area delle Cerbaie).
Dal 2001, anno della scomparsa di Indro Montanelli, si impegna nel sostegno di ricerche sull’opera del giornalista fucecchiese, di cui conserva nel proprio archivio una ricca documentazione, oltre ai suoi studi (Le “Stanze di Indro Montanelli”) con numerosi arredi e testimonianze visitabili nei giorni di apertura o su appuntamento (ingresso libero).
Organizza tre premi biennali di cui due a carattere nazionale e uno locale: Premio di scrittura Indro Montanelli, Premio per la narrativa illustrata per l’infanzia Colette Rosselli, Premio Piero Malvolti (vedere per i dettagli la sezione “Premi” sul sito della Fondazione).
Dal 1993 ha sede nell’antico Palazzo Della Volta (Via G. Di San Giorgio n. 2, Fucecchio), che ha contribuito a restaurare insieme al lavoro svolto dai volontari della Contrada Sant’Andrea.
E’ dotata di una Biblioteca con 12 posti di lettura e di un auditorium in cui si svolgono incontri a carattere culturale.
Conserva inoltre un’ampia raccolta di dipinti e disegni del pittore fucecchiese Arturo Checchi.
La sede è aperta al pubblico nei giorni di martedì e giovedì dalle ore 15 alle ore 19.
Le “stanze di Indro Montanelli” sono inoltre visitabili ogni sabato e domenica dalle 15 alle 9 o su appuntamento.
Indirizzo: Fondazione Montanelli Bassi, Via Guglielmo di San Giorgio n. 2, C.P. 190, 50054 Fucecchio.
Telefono e Fax 0571/22627
E-Mail: info@fondazionemontanelli.it; Home page (sito internet): www.fondazionemontanelli.it
Museo di Casa Giusti
Il Museo di Casa Giusti si trova nel viale Martini n.18 a Monsummano Terme.
È la casa-museo dove abitò il poeta Giuseppe Giusti.
La casa della famiglia Giusti, presente sul territorio di Monsummano già nel Seicento, fu ampliata e abbellita fra il 1791 ed il 1793, per volontà di Giuseppe di Alessandro Giusti, nonno del poeta, ministro ed amico del granduca di Toscana Pietro Leopoldo. Giuseppe Giusti vi nacque il 12 maggio 1809 Il padre Domenico, agiato proprietario terriero, fu cassiere e poi amministratore delle terme di Montecatini dal 1818 al 1861; tra i suoi possedimenti di Monsummano fu scoperta una grotta, nel maggio 1849, poi divenuta stabilimento termale di fama internazionale proprio grazie a Domenico, nota ancora col nome di grotta Giusti. Giuseppe si laureò in giurisprudenza a Pisa nel 1834, ma non esercitò mai la professione di avvocato. Visse fra Montecatini, Pescia e Firenze dove si legò di amicizia con Gino Capponi e Giovan Pietro Vieusseux, fu amico anche di Alessandro Manzoni. Ha lasciato versi che testimoniano la sua vena satirica e che stigmatizzano i costumi della sua epoca.
La casa natale del poeta fu acquistata dallo Stato nel 1972 ed è divenuta nel 1992 museo nazionale. Al primo piano si trovano arredi e oggetti inseriti in un complesso decorativo tale da far rivivere il clima romantico della prima metà dell’Ottocento, con opere d’arte d’epoca fra cui un ritratto del Poeta opera di Giuseppe Bezzuoli. Gli arredi ed i mobili in parte appartenevano alla stessa famiglia Giusti ed in parte provengono dai depositi della Soprintendenza.
Il secondo piano ospita, poi, una sezione documentaria di particolare ampiezza relativa all’opera e alla figura del poeta. Infine l’ala novecentesca dell’edificio è provvista di una sala conferenze modernamente attrezzata. Notevole ed assai suggestiva è la stanza della poesia recentemente inaugurata; in essa il visitatore può compiere un viaggio virtuale, estremamente coinvolgente, nella più significativa produzione poetica del secolo scorso.
Ingresso:gratuito
Orario di apertura: da novembre ad aprile 8,00-14,00 e 15,00-18; da maggio a ottobre 8,00-14,00 e 16,00-19,00.
Martedì chiuso.
LUOGHI DEI MITI RISORGIMENTALI: L’OSSARIO DI CUSTOZA
Anche il Tamburino creato da De Amicis serve a ricordare
Frediano Sessi Corriere della Sera 8 agosto
«Nella prima giornata della battaglia di Custoza, il 24 luglio del 1848, una sessantina di soldati d’un reggimento di fanteria del nostro esercito, mandati sopra un’altura a occupare una casa solitaria, si trovarono improvvisamente assaliti da due compagnie di soldati austriaci, che tempestandoli di fucilate da varie parti, diedero loro appena il tempo di rifugiarsi nella casa e di sbarrare precipitosamente le porte». Dalla collina, scrive De Amicis, veniva «un fuoco d’inferno, una grandine di palle di piombo che di fuori screpolava i muri e sbriciolava i tegoli, e dentro fracassava soffitti, mobili, imposte, battenti, buttando per aria schegge di legno e nuvoli di calcinacci e frantumi di stoviglie e di vetri, sibilando, rimbalzando, schiantando ogni cosa con un fragore da fendere il cranio». Così inizia la storia del «tamburino sardo», un ragazzetto sulle cui spalle sta la salvezza dei soldati italiani assediati. Incaricato dal vecchio capitano di cercare rinforzi a fondovalle, giù a Villafranca, si cala dalle finestre della casa e corre, all’impazzata, senza curarsi della ferita alla gamba: vuole salvare quegli uomini chiusi nella casa sulla collina e vincere la battaglia. Quando ormai tutto sembra perduto, ecco giungere i rinforzi: i carabinieri. Il piccolo tamburino sardo aveva portato a termine la missione. Qualche giorno dopo, il vecchio capitano, facendo visita a un ospedale da campo, trova il tamburino, ferito e pallido. A causa della corsa e della ferita subita, i medici militari avevano dovuto amputargli una gamba. E De Amicis, racconta che il vecchio ufficiale, togliendosi il cappello, gli disse: «Io sono un semplice capitano, tu sei un eroe». Tra queste colline lo stesso De Amicis combatté, ventenne, con il grado di tenente di fanteria, nel giugno 1866, la Terza guerra d’indipendenza: da un lato l’esercito italiano, guidato da re Vittorio Emanuele II, e dall’altro gli austriaci dell’arciduca Alberto d’Asburgo. Una storia dimenticata anche nelle aule della scuola italiana; ma più spesso dimenticati sono i luoghi e i memoriali che ancora oggi ci parlano delle vittime, della violenza di quegli scontri quasi sempre terminati all’arma bianca. Nel suo libro più famoso, Cuore, De Amicis raccontò anche questa guerra patriottica per la libertà e il risorgimento dell’Italia, con storie che, seppure frutto della sua fantasia di scrittore, ci restituiscono il sentimento di quelle sanguinose battaglie. Le rare lapidi che le ricordano, spesso nascoste tra i vigneti delle colline veronesi o mantovane, messe in ombra da nuovi insediamenti abitativi o artigianali, da case o strade percorse da turisti alla ricerca di buon cibo e ottimo vino, ci chiamano, inascoltate, alla memoria dei fatti, per ricordarci che l’Italia deve loro almeno il ricordo del sangue versato. Oggi, ad assolvere questo compito, per la valle e le colline di Custoza, è arrivata una guida storico-turistica (Ossario di Custoza, Ombre Corte/Crea, pp. 223, euro 16) che ci accompagna nella storia e nella memoria dei luoghi, con fotografie, carte, itinerari: come un museo diffuso cartaceo, unico nel genere in Italia, e per queste terre. Curata, tra gli altri, dallo storico Carlo Saletti, ci accompagna, tra l’altro, in quel «luogo mesto» che è il monumento «ossario», inaugurato nel 1879. È ancora De Amicis che dopo le storie strappalacrime del «tamburino sardo» o della «piccola vedetta lombarda», nel suo meno noto Vita militare, ci dice di «soldati che impugnano la baionetta, si afferrano alla gola, si avvinghiano, cadono, risorgono, pallidi, ansanti, coi denti serrati, le teste scoperte e sanguinose». Non li dobbiamo dimenticare.
La Ex-Manifattura tabacchi : un luogo da riscoprire e valorizzare
Agli esordi degli anni Trenta il Monopolio di Stato decise di costruire una nuova e unica sede per la Manifattura Tabacchi, data la vetustà, l’inadeguatezza e la dispersione dei due impianti dell’ex convento di Sant’Orsola (lavorazione del tabacco) e della sconsacrata chiesa di San Pancrazio (lavorazioni di maggior pregio). Il progetto prevedeva la realizzazione di un impianto di notevole dimensione e articolazione: su una superficie di oltre 6 ettari, i vari corpi di fabbrica occuparono 22.200 m². di superficie, tra uffici, magazzini ed officine e disponevano complessivamente una cubatura di 410.000 m³.
La Manifattura chiuse definitivamente il 16 marzo 2001.
Dubbia è la paternità dell’opera: se un quotidiano dell’epoca suggerisce quella, senz’altro attendibile, dei tecnici del Monopolio, non specifica tuttavia le figure professionali di tali progettisti. Lo storico dell’architettura Mauro Cozzi in una pubblicazione del 1994 , ricordando come alcuni degli esecutivi siano firmati dall’ingegner Alessandro Nistri, ipotizza un qualche coinvolgimento dell’ingegner Nervi, titolare peraltro dell’impresa costruttrice.
Il complesso della Manifattura occupa un intero isolato, compreso tra il torrente Mugnone a nord e il fosso Macinante e la ferrovia a sud e situato in prossimità del parco delle Cascine. Assieme all’edificio del dopolavoro (oggi Teatro Puccini), situato a mo’ di prua all’angolo nord orientale del lotto, il corpo principale della Manifattura costituisce una dominanza architettonica in un ambiente urbano privo di emergenze e caratterizzato da un tessuto eterogeneo definitosi a partire dai primi del Novecento.
Il complesso è caratterizzato da una serie di edifici a planimetria e volumetria compatte, connotati da uno stile razionalista. Il corpo della direzione e degli uffici, interamente rivestito in travertino ed arretrato rispetto all’asse parallelo della via Cascine tramite la frapposizione di un giardinetto con muro di cinta, presenta un ampio fronte ad esedra, su due piani fuori terra, dal quale risalta un corpo centrale, lievemente più alto rispetto alle ali laterali, tripartito da grandi aperture architravate, con portali al piano terra e ampie finestre al piano superiore: la balaustra è costituita da tre pannelli in travertino a bassorilievo raffiguranti le fasi della lavorazione del tabacco.Al piano terra sono situati gli uffici e le sale di maternità; a quello superiore la direzione e l’alloggio per il direttore.
L’edificio invece lungo l’asse nord sud, a pianta rettangolare e volumetria compatta su 3 piani fuori terra più uno seminterrato, è quello che maggiormente si richiama al linguaggio razionalista internazionale degli opifici industriali: presenta il fronte principale tripartito, con il corpo centrale lievemente sporgente ed emergente, caratterizzato al piano terra da un ampio portale con sovrastante tettoia e a quelli superiori da due nastri vetrati, segnalanti il corpo scale, con al centro una cortina muraria con tre finestre sovrapposte concluse da un orologio; ai due lati si aprono, nella cortina in mattoni del piano terra, una serie di finestre rettangolari e in quella semplicemente intonacata dei piani superiori una serie di finestre a nastro. All’interno erano situati al piano terra l’infermeria, la sartoria e lo spogliatoio donne; al primo piano lo spogliatoio degli uomini; al secondo la cucina, il refettorio e la mensa.
A Firenze ci sono molti edifici civili e militari con una loro dignità architettonica, che , dopo la loro chiusura, attendono da anni di essere riconvertiti ad una destinazione pubblica; tra questi appunto l’edificio della Manifattura Tabacchi.
Per la tipologia degli spazi si potrebbe ipotizzare un uso museale di alcune parti di questa manifattura. Qualche anno fa infatti per alcuni mesi fu fatta un’esposizione di arte contemporanea e quindi perché per esempio non prevedere all’interno la realizzazione di un Museo Fiorentino del Risorgimento, di cui molti cimeli giacciono abbandonati nel seminterrato del Museo Firenze Com’Era alle Oblate.
Una targa infine in piazza Puccini ricorda come la Manifattura Tabacchi fosse sul fronte di guerra lungo il Mugnone nell’agosto 1944 e per ciò fu oggetto di duri scontri delle forze partigiane durante la Liberazione; costituire pure un Museo della Resistenza, che manca alla nostra città, in altri ambienti di questo vasto opificio avrebbe un forte significato culturale e politico.
Tra pochi mesi ci saranno iniziative per celebrare gli anni di Firenze Capitale: ridare pertanto vita a questi pregevoli e significativi complessi architettonici sarebbe il modo migliore, sia sul piano simbolico che concreto, di rievocare un momento importante della storia del Risorgimento a Firenze, in un collegamento ideale tra passato, presente e futuro della nostra città
Il Cimitero delle Porte Sante a San Miniato al Monte
Costruito nell’Ottocento custodisce la memoria di molti personaggi del Risorgimento
L’idea di un luogo di sepolture vicino a San Miniato nacque intorno al 1837 anche se il camposanto fu inaugurato undici anni dopo, nel 1848.
Il progetto, inizialmente affidato all’architetto Niccolò Matas (l’autore della facciata della basilica di Santa Croce), venne ingrandito e nel 1864 Mariano Falcini utilizzò a tale scopo l’area della fortezza cinquecentesca che si stendeva intorno alla chiesa.
Il progetto del nuovo cimitero si accrebbe parallelamente allo sviluppo della nuova rete viaria, elaborata dal Poggi che, con l’apertura del Viale dei Colli e dello scalone monumentale, creava nuove modalità di accesso alla basilica.
Oltre a numerose testimonianze architettoniche di gusto neogotico e neorinascimentale il cimitero accoglie le salme di molti patrioti, uomini d’azione e di cultura che vissero negli anni in cui si faceva e si consolidava l’Unità d’Italia ( in ordine alfabetico)
Giuseppe Abbati Libero Andreotti Pellegrino Artusi Luigi Bertelli detto Vamba
Carlo Collodi Giuseppe Dolfi Felice Le Monnier Ciro Menotti (tomba di famiglia)
Giovanni Papini Ermenegildo Pistelli Gaetano Salvemini
Frederick Stibbert (tomba di famiglia) Atto Vannucci Pasquale Villari
Il capanno Garibaldi a Ravenna
Il capanno Garibaldi si trova a nord-est di Ravenna, nei pressi del mare Adriatico in una piccola oasi naturalistica all’interno di una zona industriale ed è stata una delle soste durante l’avventurosa trafila di Garibaldi nel 1849.
La Trafila garibaldina in sintesi:
Dopo la caduta della Repubblica Romana, Garibaldi, attraverso Terni, Todi, Orvieto, San Marino, giunse a Cesenatico, dove si imbarcò con 250 uomini su 13 bragozzi, deciso a raggiungere Venezia. Intercettato dagli Austriaci, sbarcò ad 8 km. da Magnavacca (Località Palazza). Dopo vari spostamenti, pervenne a questo capanno alle 19,30 del 6 agosto 1849 vi trascorre la notte. Da lì fu condotto in Ravenna e poi a Castiglione, Case Murate, Coccolia, Forlì, la Toscana, Genova, sfuggendo così alla caccia degli Austriaci
Il capanno fu costruito nel 1810 ad uso di caccia, distrutto da un incendio nel 1911, fu ricostruito fedelmente
Una delle 4 lapidi che si trovano all’ingresso:
QUI
DOVE GIUSEPPE GARIBALDl
NEL MDCCCXLIX
CONTRO DOPPIA TIRANNIDE
TROVA V A SICURO RIFUGIO
RIPIEGANDO NELLA GLORIOSA BANDIERA
I FASTI
DELLA ROMANA REPUBLICA
LA RAVENNATE SOCIETA’ DEL GLOBO
POSE QUESTA EPIGRAFE
A SENTIMENTO D’ AMMIRAZIONE
DEL GRANDE CITTADINO
17 LUGLIO 1879
Il Capanno Garibaldi è chiuso nei mesi di Novembre, Dicembre, Gennaio e Febbraio
Le scolaresche possono prenotare le visite chiamando al tel. 0544 – 212006 tutti i giorni dalle ore 9,00 alle ore 13,00.
Orario feriale:
fino al 30 giugno 9.30 – 12.30/14.30 – 17.30 |chiuso il lunedì e il venerdì
dal 1 luglio 13.00 -19.00 chiuso il lunedì e il venerdì
Orario festivo:
fino al 30 giugno 9.30 – 12.30/14.30 – 17.30 |chiuso il lunedì e il venerdì
dal 1 luglio 13.00 -19.00 chiuso il lunedì e il venerdì
Ingresso gratuito
Durante la chiusura invernale per tradizione il 31 dicembre alle 17 parte dal parcheggio di via Baiona nelle vicinanze del capanno la suggestiva fiaccolata di fine anno, che raggiunge il capanno Garibaldi, dove vengono eseguiti alcuni canti risorgimentali e viene offerto vin brulè. Alla partenza sono fornite le fiaccole.
“La partecipazione – ha dichiarato il vicesindaco Giannantonio Mingozzi di Ravenna – è libera e mi auguro intervenga più gente possibile, perché non sarà solo un tributo al Risorgimento ma anche l’occasione di ammirare una delle parti più belle del nostro patrimonio naturale in una atmosfera insolita
Il Cimitero degli Inglesi di Firenze
Come cimitero protestante, era posto fuori delle mura cittadine in prossimità della Porta a Pinti, da cui prendeva originariamente il nome. Il cimitero è posto sulla sommità di una montagnola naturale sulla quale la gente, agli inizi del secolo XIX, saliva per assistere al gioco del pallone che si svolgeva nella radura pianeggiante adiacente, oggi sede del viale Matteotti. L’area fu ceduta dal governo granducale nel 1827 alla Chiesa Evangelica Riformata (Svizzera) e venne ampliata nel 1860 con una ulteriore cessione di terreno. La sistemazione attuale del cimitero si deve al piano di Giuseppe Poggi per Firenze Capitale: abbattimento delle mura cittadine e creazione di Piazzale Donatello con giardini alberati sulla parte nord. Dunque è nel 1870 che la piazza si definisce nella sua attuale configurazione: viali di circonvallazione, costruzione dell’isolato degli “artisti”, spazi verdi ed il cimitero come “isola” all’interno di questo sistema, appartata e lontana da tutto quello che la circonda. Il cimitero chiuse i suoi cancelli nel 1877 divenendo il custode della memoria di un Ottocento cosmopolita che ha onorato Firenze. L’impianto del cimitero è semplice e razionale: due viali principali inghiaiati ed ortogonali al cui incrocio, in corrispondenza della sommità dell’area, è posta la colonna fatta erigere da Federico Guglielmo di Prussia nel 1858. Le tombe non hanno una disposizione rigida e regolare come avviene nei cimiteri cattolici, ma più paesaggistico romantica, accentuata dall’andamento del terreno e dalla presenza di una certa varietà di essenze arboree ed arbustive.
Piazzale Donatello 38
Ingresso con offerta libera
Orario di apertura: ore 14 -17(invernale) 15-18(estivo) , lunedì 9-12, sabato e domenica chiuso
Julia Bolton Holloway è la custode del cimitero inglese di piazza Donatello a Firenze. Di origine inglese, nata nel 1937, già docente a Princeton, tre figli e otto nipoti, un matrimonio fallito, aspirante monaca anglicana passata infine alla Chiesa Cattolica, Julia vive in solitudine in mezzo al chiasso della città moderna e da quella solitudine anima un gruppo di spiritualità che si riunisce una volta alla settimana.
E’ esaustiva e significativa una sua testimonianza sul cimitero e sugli ultimi interventi di restauro:
Tra i recenti restauri che sono stati condotti è da segnalare l’allegoria della Morte scolpita dallo scultore carrarese Giuseppe Lazzerini per la tomba del giovane Andrea Casentini: restaurata dall’Opificio delle Pietre Dure, la statua è stata esposta nel 2011 a Roma a Castel Sant’Angelo prima di ritornare in sede. Inoltre è da segnalare il restauro dell’allegoria della Speranza dello scultore Odoardo Fantacchiotti, di cui ricorreva nel 2011 il duecentenario della nascita; questo restauro è stato condotto con nuove tecniche di intervento sul marmo da un’équipe dell’Istituto “Nello Carrara”del CNR. Il Rotary Club Firenze ha sostenuto il restauro della stele di Mary Anne Salisbury, dedicata da Rosina Buonarroti Simoni, ultima discendente di Michelangelo, alla sua affezionata governante.
Il generale lavoro di manutenzione e restauro delle tombe ha messo in luce recentemente la presenza elle tombe di Bartolomeo Odicini, medico di Anita Garibaldi e dei suoi figli in Uruguay e, dopo Aspromonte, dello stesso Garibaldi; di Demetrio Corgialegno, originario di Cefalonia che combattè a fianco di Lord Byron; e dei figli, morti in tenera età, di Giorgio e Albana Mignay, che erano rispettivamente il pittore greco che ritrasse il salotto di Elizabeth Barrett Browning come era al tempo della morte della poetessa, e la scrittrice e famosa bellezza che fu modella dello scultore americano Hiram Powers per la statua della Schiava Greca esposta all’Esposizione mondiale del 1851 al Crystal Palace di Londra. Altre significative presenze del cimitero sono tra i poeti e gli scrittori: Elizabeth Barrett Browning, Walter Savage Landor, Frances Trollope e Arthur Hugh Clough; e poi alcuni parenti di Jane Austen e di William Wordsworth, e la piccola principessa Vera Urosova, la cui famiglia era in stretta relazione con i Tolstoy. Infine, molti tra i personaggi sepolti al cimitero sono legati alle lotte contro la schiavitù: oltre a Elizabeth Barrett Browning e Theodore Parker, accesi fautori dell’abolizionismo, è sepolta qui Nadezhda, schiava nera arrivata dalla Nubia a quattordici anni e battezzata in una famiglia russa ortodossa, sepolta a poco più di trent’anni. Frederick Douglass, americano, nato in schiavitù e divenuto scrittore, uomo politico, leader del movimento abolizionista, venne a Firenze a rendere omaggio alle tombe di Theodore Parker ed Elizabeth Barrett Browning al cimitero di piazza Donatello. Sappiamo dall’archivio cimiteriale che alcune persone sono sepolte qui ma le loro tombe non sono riconoscibili. Tra queste, Emma Carew, figlia di Emma Hamilton e sorellastra di Horatia Nelson, istitutrice sul continente, Catherine Mc Kinnon, originaria dell’Isle of Mull, istitutrice presso lo Zar di Russia e Catherine Louise Adams Kuhn, sorella di Henry Adams, morta di tetano durante un soggiorno toscano. Grazie alla cura e all’impegno costante del suo presidente Gerardo Kraft e di Mario Marziale, pastore della Chiesa evangelica riformata svizzera, questo straordinario monumento non solo fiorentino, ma di importanza europea e mondiale, è sottratto alla decadenza e preservato per la memoria delle future generazioni.
Il Cimitero della Misericordia detto anche dei Pinti
Il cimitero dei Pinti a Firenze è l’unico al mondo solo maschile. Vi sono sepolti 3.800 fratelli della Misericordia, ma è dismesso dal 1898 e si trova a Firenze in via degli Artisti.
Un lungo muro sbrecciato su via degli Artisti, un portone sgangherato che si apre cigolando. E improvvisamente sei nell’isola dei morti. Un emiciclo pieno di luce, un prato con qualche croce bianca chiuso da un colonnato da cui svettano statue e busti in marmo. Così appare il Cimitero dei Pinti.
Fu costruito in aperta campagna fuori Porta a Pinti per volere della Reggenza lorenese nel 1747 ed accolse i defunti dell’ospedale di Santa Maria Nuova, in particolare le persone sconosciute o non richieste dai parenti, i cui scheletri venivano poi anche usati per gli studi di anatomia.
Quando l’Arciconfraternita della Misericordia era in cerca di un nuovo luogo di sepoltura in una zona più vicina alla città rispetto al cimitero di Soffiano il Granduca Leopoldo II concesse in data 11 luglio 1824 la zona adiacente al vecchio cimitero dell’ospedale. Inizialmente il cimitero della Misericordia e dell’ospedale rimasero separati da un muro divisorio, ma in seguito, dopo un atto di rinuncia dell’Ospedale, il cimitero della Misericordia poté essere ingrandito notevolmente, assumendo un aspetto monumentale.
Fu quindi ristrutturato nel 1837-1839 dall’ingegnere comunale Paolo Veraci, che realizzò un insieme in stile classico due loggiati semicircolari saldati insieme da una cappella dedicata all’Immacolata Concezione: questa zona era destinata alle tombe “distinte”.
Il cimitero venne completato tra il 1878 e il 1886 dall’architetto Michelangelo Maiorfi, che aggiunse le due celle laterali e la facciata classicheggiante.
Nonostante l’erba sia periodicamente tagliata, molte lapidi sono spaccate e sprofondate, alcuni monumenti funebri sono rovinati e scheggiati, i numerosi busti sepolti da polvere annosa. Qua e là si leggono alcuni nomi dei fratelli “giornanti”, e “buona voglia” ovvero impegnati nei servizi di assistenza della Misericordia. “Cav. Capitano Ferdinando Gugliantini, appartenne alla falange immortale di Curtatone e Montanara…”. “Gaetano Bianchi, pittore fiorentino(1819-1892).
Altre personalità sepolte sono quelle di Vincenzo Batelli, Giovanni Baldasseroni, Emilio De Fabris e Giuseppe Barellai.
Sotto al loggiato di sinistra sono schierate cinque storiche vetture per trasportare i morti: due carrozze bianche per i bambini, le altre scure e (un tempo) dorate per gli adulti.
Dovunque però regna l’incuria, la negligenza di quanto sia rito, culto e conservazione del ricordo. Perché non aprirlo e farne un giardino della memoria? Perché non farne un Pantheon dei fiorentini più o meno illustri dell’Ottocento, tra i quali molti patrioti del Risorgimento?