Il 2 giugno 2022 si celebrano i 76 anni della Repubblica italiana, nata con il referendum istituzionale del 1946. Gli italiani, e per la prima volta le italiane, convocati alle urne anche per eleggere i deputati dell’Assemblea costituente, erano chiamati a partecipare alla fondazione di un’idea di cittadinanza repubblicana che trovò nella Costituzione una delle sue massime espressioni. L’affluenza al voto fu altissima. Nel 1946 gli aventi diritto al voto erano 28 milioni, i votanti furono quasi 25 milioni, pari all’ 89,08%. Il 54,27% dei voti validi fu a favore della Repubblica, il 45,73% a favore della Monarchia.
Negli anni della realizzazione dell’Unità italiana si tennero analoghe consultazioni popolari, i plebisciti, promossi per ratificare l’annessione di territori o regioni al Regno d’Italia. L’11 e il 12 marzo 1860, all’indomani della Seconda Guerra di Indipendenza, si votò in Toscana e in Emilia Romagna; il 21 ottobre 1861, dopo l’impresa dei Mille, fu la volta di Marche, Umbria e Regno delle due Sicilie; il 21 e il 22 ottobre 1866 il Veneto votò per unirsi all’Italia dopo la Terza guerra d’Indipendenza; il 2 ottobre 1870 a Roma e nel Lazio fu sancita la loro appartenenza al Regno d’Italia. Tutte queste consultazioni videro un’alta partecipazione al voto.
Il referendum come strumento di partecipazione democratica fu inserito nella Costituzione della Repubblica Italiana, che nell’articolo 75 fissa modalità e limiti per le consultazioni referendarie. Com’è noto, con questo strumento si può abrogare un’intera legge o una sua parte, se lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Il risultato non è valido se non ha votato la metà più uno degli elettori. Non si possono sottoporre a referendum le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. Il testo costituzionale prevede anche un altro tipo di referendum oltre a quello abrogativo, quello confermativo delle modifiche alla Costituzione (l’ultimo si è tenuto nel dicembre del 2016).
Dopo il referendum del 2 giugno 1946, dal punto di vista della partecipazione e dell’acceso dibattito che precedette il voto, furono particolarmente significativi il referendum sulla legge del divorzio del 1974 e quello del 1981 sulla legge che permetteva e regolamentava l’aborto. Si trattava infatti di temi che toccavano profondamente la coscienza politica e religiosa di ogni cittadino.
Nel corso degli anni l’appeal dei referendum abrogativi come strumento di partecipazione si è progressivamente consumato, fino al fallimento di alcuni significativi referendum, in cui non è stato raggiunto il quorum dei votanti. E il prossimo appuntamento referendario del 12 giugno sulla giustizia rischia di fare la stessa fine. Quali le ragioni di questa disaffezione popolare ai referendum? Certamente ci sono materie più facilmente comprensibili e più vicine all’esperienza dei cittadini e altre più complesse che possono sembrare meno importanti anche perché meno conosciute. Forse il trend negativo della partecipazione al voto è dovuto anche alla crescita negli ultimi anni e non solo in Italia dell’astensionismo di massa alle scadenze elettorali, fondamentali per gli stati democratici, quelle appunto politiche e amministrative. Soprattutto però è venuto meno l’apporto delle forze politiche più rappresentative, che coglievano nel passato il valore positivo per la democrazia in Italia delle consultazioni referendarie, anche quando venivano proposte da forze minoritarie, come il partito radicale e quello socialista. Inoltre, spesso le materie referendarie vengono viste da quasi tutti i partiti come proposte poco popolari e anche come una minaccia all’autonomia decisionale del Parlamento. Ma un fattore fondamentale (del resto legato alle resistenze dei partiti) è stato quasi sempre la scarsità di informazione e di dibattito sui contenuti dei referendum. Anche quest’anno, a pochi giorni dalla consultazione referendaria del 12 giugno su problemi legati alla giustizia, temi fondamentali per un Paese civile e democratico come il nostro, l’informazione è carente nelle trasmissioni televisive o è relegata nelle pagine interne dei giornali senza alcun risalto nelle prime pagine. Sui social è quasi del tutto assente. Eppure, come ripeteva spesso Luigi Einaudi, è necessario “conoscere per deliberare”.
Oggi si parla molto di crisi della democrazia in Europa, sia per l’aggressione militare di un paese autoritario come la Russia nei confronti di una nazione democratica come l’Ucraina, sia per la messa in discussione delle radici culturali e della memoria storica della cultura occidentale da parte del movimento sempre più aggressivo della Cancel Culture.
Pertanto è necessario senza indugi rafforzare la coscienza politica e civile dei cittadini, promuovendo la serietà e la qualità della scuola, sottolineando il valore della partecipazione attiva alla Res publica e promuovendo tutte le occasioni di confronto tra soggetti liberi che possano sottoporre al vaglio reciproco le loro idee-opinioni. Dunque la partecipazione, non certo il boicottaggio, a una consultazione referendaria è una di queste occasioni e non va lasciata cadere, pena l’indebolimento della nostra democrazia per cui hanno lottato e sacrificato la loro vita gli uomini e le donne del Risorgimento e quelli che si batterono contro il fascismo, lotte culminate rispettivamente nei plebisciti dell’Ottocento e nel referendum del 2 giugno del 1946.