Via Petraia 40 a Castello. Firenze
Da palagio-fortezza a elegante dimora signorile con piante rare, aranci e bosco.
Era su una collina così ripida e isolata che i Brunelleschi riuscirono a respingere le truppe pisane che la volevano espugnare durante le scorrerie del 1364 e Ferdinando de’ Medici utilizzò anche schiavi, prigionieri di guerra musulmani, per i lavori di sbancamento necessari per creare i tre terrazzamenti del giardino che l’allora cardinale volle ispirandosi a Villa Medici a Roma. E così il palagio-fortezza della Petraia divenne una dimora signorile, teatro di tante altre storie, da quella della misconosciuta pittrice Giovanna Fratellini all’idillio tra Vittorio Emanuele II e la Bella Rosina che su un grande leccio davanti alla villa si rifugiavano sulla casina da loro fatta costruire tra i rami per chiacchierare e rilassarsi nel fresco.
La storia della Villa della Petraia si sovrappone e quella di Firenze e dei suoi signori da quasi un millennio e comincia appunto con i figli di Boccaccio Brunelleschi che, come racconta nelle sue Cronache il Villani, riuscirono a respingere i nemici, salvando il rustico palazzo-torre che si trovava molto lontano dalle mura, a Castello, vicino a Monte Morello. Dai Brunelleschi la proprietà passò ad inizio del Quattrocento al ricchissimo Palla di Noferi Strozzi e nel Catasto del 1427 (forse per pagare meno tasse) Palla descriveva «l’abituro da signore detta la Petraja rovinato, e con chasa da lavoratore e fattoio da olio e con terra parte vignata e parte lavorata e ulivata» e all’inizio del Cinquecento dagli Strozzi passò a Cosimo, il futuro Granduca. Cosimo iniziò a trasformarla, ma all’insegna della sobrietà medievale, aggiungendo il ballatoio alla torre già esistente e che ancora oggi contraddistingue la villa, e nel 1568 la donò al figlio cardinale Ferdinando, che divenuto Granduca nel 1587 per l’improvvisa morte del fratello Francesco e di sua moglie Bianca Cappello, e trasferitosi da Roma a Firenze, cominciò una profonda ristrutturazione, trasformandola secondo il modello della villa di campagna toscana. Al piano terra fu realizzato il cortile, con le eleganti logge di ponente e di levante, affrescato con due cicli, uno cinquecentesco riferibile a Cosimo Daddi con scene dedicate a Goffredo di Buglione, antenato di Cristina di Lorena consorte di Ferdinando, l’altro voluto dal principe Don Lorenzo, figlio di Cristina e Ferdinando, realizzato nel Seicento dal Volterrano e raffigurante i fasti dei Medici. Ferdinando trasformò completamente anche il terreno attorno alla dimora, realizzando i tre terrazzamenti, dominati da villa e torre, affacciati sul panorama e ritratti in tutti i particolari nella lunetta di Giusto Utens.
La prima terrazza era occupata da un frutteto di piante nane, una rarità che incuriosiva gli illustri ospiti, la seconda era dominata da una larga vasca centrale, con due rampe di scale ai fianchi, ed aveva aiuole con disegni geometrici, la terza era contrassegnata da due grandi zone ellittiche, con alberi e passaggi coperti. Tutto il giardino era disseminato poi di agrumi in vaso — vera passione dei Medici — e di spalliere di aranci e fuori dai muri esterni c’era il salvatico, il bosco, ricco di cacciagione, anche se la villa fu più usata come residenza che come base per cacciare, al contrario ad esempio della villa di Cerreto Guidi. Il religiosissimo Granduca Cosimo III vi fece realizzare una nuova cappella, e con la fine della dinastia dei Medici e il passaggio ai Lorena arrivarono nuovi cambiamenti. La villa fu riarredata, fu realizzata una sala da gioco con biliardi, l’antenata della roulette, il Nobilissimo Gioco della Mea in cui puntando sui numeri si perdevano fortune, e perfino con un antesignano del flipper, e venne modificato il giardino. Sotto la guida del boemo Joseph Fritsch, già autore del parco di Pratolino, venne realizzato il parco romantico all’inglese, come imponeva il nuovo gusto.
La villa, come le altre proprietà granducali, con il Regno d’Italia passò allo Stato e ai tempi di Firenze Capitale fu la dimora preferita del Re Vittorio Emanuele II che vi andava a trovare Rosa Vercellana, la Bella Rosina, la sua amante e poi moglie morganatica, cioè senza diritti dinastici. Vittorio amava quella villa appartata, quasi montana, e la arredò usando pezzi pregiati presi dalle ex regge dei regni italiani, come i palazzi ducali di Lucca, Modena, Piacenza, e da altre ville medicee, coprendo le pareti con carta da parati di diversi colori e fece realizzare un impianto di riscaldamento che attraverso bocchette nei muri serviva le varie stanze. Ma, casa sul leccio (l’albero, ormai pericolante e monco, è stato abbattuto negli anni Ottanta del secolo scorso) e Belvedere nel giardino a parte, la realizzazione più importante fu la copertura del cortile con un’aerea struttura in acciaio e vetro, creata nel 1872 in occasione del fidanzamento del figlio del Re e Rosina, Emanuele di Mirafiori, con Blanche di Larderel, realizzando un salone da ballo che divenne il cuore dell’edificio.
La copertura ha permesso la perfetta conservazione degli affreschi — che raffigurano anche le due regine di casa Medici, Caterina e Maria di Francia, nonna del Re Sole, Luigi XIV — e sulle pareti si notano i tanti trofei venatori di Vittorio Emanuele, appassionato di caccia. Vittorio e Rosa vi passarono molti momenti felici e oggi si possono ammirare anche la camera da notte di Rosa, con il grande letto a baldacchino, e lo studio del Re. Gli ambienti visitabili sono un misto, anche di arredamento, tra i Lorena e i Savoia, con parte del mobilio recuperato dopo che era stato venduto dall’Opera Nazionale Combattenti a cui la villa era stata donata dallo Stato. Opera che vendette molti dei terreni del grande parco che circondava la Petraia. Alle spalle della villa, in cui sono esposte tutte le lunette dell’Utens, ancora oggi c’è un parco, quasi un pezzo di bosco, con sentieri suggestivi tra grandi alberi, vasche, e cipressi centenari, tra i quali ogni tanto si vedono i caprioli.
E se tutto questo non vi basta per andare a Castello, ecco altri due ottimi motivi. Il primo è il suggestivo corridoio di Canton con esposti acquerelli su carta realizzati in Cina e il rotolo in seta dipinto con la Veduta del Porto di Canton, lungo quasi 9 metri, opere acquistate dal granduca Pietro Leopoldo nel 1780. Il secondo è la «Sala da toeletta» con i ritratti a pastello, opera di Giovanna Fratellini, pittrice fiorentina caduta nell’oblio, ma ritrattista ufficiale di casa Medici, che lavorò in particolare per Violante Beatrice di Baviera, gran principessa di Toscana e governatrice di Siena, molto apprezzata nel Settecento. E stimata dalle sue colleghe pittrici Rosalba Carriera, Maria Maddalena Baldacci e Violante Beatrice Siries.
Mauro Bonciani Corriere Fiorentino 29 settembre 2024
Villa Pietraia lunetta di Giusto Utens.