Giovanni Belardelli Corriere della Sera 20 luglio 2021
Il 6 settembre faranno tre anni da quando il monumento equestre a Garibaldi, a Roma sul Gianicolo, venne colpito da un fulmine.
Da allora, benché solo modestamente danneggiato in un bassorilievo del basamento, il monumento è rimasto transennato senza che venisse intrapreso alcun lavoro di restauro. Si tratta di una vicenda davvero minima, a fronte dei mille e mille lavori italiani interrotti o mai iniziati, mal condotti o mai terminati. Eppure l’inerzia di chi avrebbe dovuto provvedere assume in questo caso un significato particolare, in considerazione della incomparabile rilevanza simbolica di quella figura.
Nessun altro protagonista dell’unificazione italiana ha infatti goduto della popolarità di Garibaldi, al quale per di più ci si è richiamati tanto a sinistra (si pensi alle Brigate Garibaldi, le formazioni partigiane organizzate dal Pci) che a destra (Mussolini, celebrando i cinquant’anni dalla morte del capo dei Mille, dichiarò le camicie nere niente meno che eredi delle camicie rosse). Proprio per questo le transenne attorno a quel monumento sono indice di qualcosa di più che la semplice incuria delle autorità comunali. Segnalano quanta vacua retorica ci sia spesso nel nostro modo di ricordare il passato. Potesse parlare, quella imponente statua di bronzo manifesterebbe probabilmente il suo sconcerto per essere rimasta ingabbiata proprio mentre si celebravano i 160 anni dall’unità d’Italia, un evento nel quale Garibaldi qualche ruolo lo aveva ben avuto. Ma la condizione di semiabbandono in cui si trova il monumento mostra anche quanto sia cambiato, in tutte le democrazie euroatlantiche, il modo di rapportarsi al passato. Da qualche decennio veniamo infatti richiamati all’obbligo di ricordare soprattutto i crimini della nostra storia. Nulla da obiettare, ovviamente. Sennonché l’epoca della religione della memoria, come è stata definita, sembra incapace di rammentarsi anche dei propri eroi.
Ammesso che sia ancora lecito usare questa parola ai tempi della cancel culture.
Pietro Senno Garibaldi a Caprera 1860/1870