15 marzo 1860. La folla plaudente in Piazza della Signoria per l’esito del plebiscito che decretò a larghissima maggioranza l’annessione della Toscana al Regno di Sardegna.
Il popolo di Firenze festeggia il primo passo verso il Regno d’Italia
Carlo Lorenzini scriveva per La Nazione di teatro e opera lirica, ma anche di politica e cronaca nera. In questo articolo del 18 marzo 1860 racconta i momenti successivi alla votazione per l’unione al Piemonte.
E dirai ai vicini e ai lontani che la festa di giovedì notte, a Firenze, fu qualche cosa di grande, di maestoso, di antico: fu un delirio sublime, che tavolozza non saprebbe dipingere, né accento esprimere, né penna raccontare. Chi, per il passato, ci chiamò figli degeneri, o esagerò per ira subitanea, o mentì per la gola. Ci si conceda il dirlo a fronte levata: noi siamo degni dei nostri padri: – e i nostri padri lo sono di noi. –
Questo è proprio il caso di ripetere col poeta di Venosa, Orazio: Sume superbiam quaesitam meritis! (Assumi l’orgoglio che hai acquisito con i tuoi meriti) È un orgoglio che ci sta bene, come la corona civica sul capo degli eroi dell’antica Grecia. Il nostro Plebiscito, letto nella notte di giovedì, dalla terrazza dal Palagio della Signoria, era un atto di profonda sapienza, il quale, per la sua imponente maestà, armonizzava mirabilmente coi giganteschi monumenti che circondano la piazza del Popolo, – quest’illustre Anfiteatro delle nostre gloriose tradizioni.
Osanna! finalmente ci siamo contati! non più scuse, non più sconce finzioni, non più insinuazioni maligne. I due partiti si sono divisi l’uno dall’altro, come si divide l’acqua dall’olio; – di qua gl’Italiani, di là i separatisti! Finalmente questa minorità faziosa, turbolenta, sovversiva che veduta coi canocchiali di Lord Normanby e con le lenti del Cardinale Antonelli, pareva dovesse appena sorpassare la ventina, ha presentato una cifra complessiva di 366,571!… All’opposto poi, la maggioranza, quella maggioranza tronfia, pettoruta, zelante d’ogni ordine, compreso l’ordine di Varsavia, devota d’ogni legittimità, compresa la legittimità illegittima della dominazione tedesca in Italia, ha dato a stento 14 mila campioni!… La quistione fin oggi è stata politica: oggi si cambia a vista, e diventa una questione d’aritmetica elementare. Qualunque maestro d’abbaco la potrebbe risolvere!
Tirata la somma, è facile vedere a colpo d’occhio, come i faziosi, i sovversivi, i ribelli sono di gran lunga in numero maggiore dei legittimisti e dei separatisti (arcades ambo!). Il disordine… dobbiamo raccontarlo?… ha soverchiato l’ordine! la lotta fra la prepotenza e la ragione, fra la forza e il diritto, è decisa. Il campo è rimasto a quella minorità rappresentata da 366,571 votanti!… Vero è però che la maggioranza, cioè i 14 mila dissenzienti (domandiamo scusa all’abbaco di questa confusione) ha diritto di cantarci sul naso i primi versi di quella celebre ottava dell’Assedio di Vienna: Trecento sessantamila ne venia Turchi ribelli e cristian rinnegati. Questo distico è par proprio fatto per le nostre spalle!
Oggimai torna inutile ripetere qui, quello che tutta Europa ha saputo, perché tutta Europa mostravasi vivamente interessata a saperlo. Ma a patto di riuscir prolissi, come la barba delle capre di Virgilio, toccheremo daccapo un tasto, che suona piuttosto inarmonico per le orecchie accordate al diapason del Regno Separato. La votazione del popolo Toscano è stata quella d’un popolo libero, che liberamente dispone di sé e delle sorti del suo paese. Il Governo, fatto il compito suo, circa all’invito per il suffragio universale, e per la prammatica da osservarsi, si è tirato deliberatamente in disparte: nessuna pressione, nessun intrigo, nessuna minaccia. Eppoi, a che pro armeggiare, quando già il paese avea decretato per acclamazione l’unione della Toscana al Piemonte? E vero che i Toscani, dando retta al sig. Alberi, hanno tutti l’intelletto ottenebrato: ma li credete poi così mortalmente colpiti d’atrofia, che abbiano bisogno di pungoli o di minacce governative, per mostrarsi schietti italiani?
Anzi, a convalidare maggiormente la spontaneità del voto, per via di consigli amichevoli e di ordinanze di Prefettura, furono dissuasi quei pochi, che vinti da soverchio zelo, avevano proposto di recarsi ai Comizi con la scheda affissa sul cappello, a guisa di coccarda nazionale. I galantuomini, lo sappiamo, non hanno nulla da temere, a esporre la propria opinione alla luce del sole, ma era pur necessario avere un qualche riguardo a coloro, che promuovendo lo scisma, covavano in petto un principio vergognoso. Tristo sempre quel partito che ha da vergognarsi della sua bandiera!… (…)
La Nazione. Firenze cultura 3 novembre 2024