Maria Luisa legò il patrimonio di famiglia a Firenze, poi lasciò il Granducato ai Lorena.
Grazie a lei i nostri capolavori sono rimasti qui. L’idea: un omaggio, alla luce del sole
Paolo Ermini Corriere Fiorentino 9 dicembre
La Rai sta per celebrare per la seconda volta i Medici, con un’altra grande fiction, e Firenze — che dei Medici fu culla e capitale — continua a non rendere pieno l’omaggio ad Anna Maria Luisa Medici, alla quale — come tanti ancora non sanno — la città deve la conservazione dell’integrità dell’intero patrimonio mediceo. Palazzi, ville, capolavori e collezioni d’arte.
È stata Cristina Acidini a risollevare il caso del rapporto tra Firenze e la figlia di Cosimo III, l’ultima rappresentata di casa Medici prima che il granducato di Toscana passasse ai Lorena. Lo ha fatto durante la presentazione del libro di Daniela Cavini Le magnifiche dei Medici. Dodici ritratti (Mauro Pagliai Editore, 94 pagine, 10 euro) dedicato alle donne della famiglia, protagoniste di una serie di medaglioni scritti dalla stessa autrice per il Corriere Fiorentino nel corso del 2016. Davanti a una sala gremita, proprio nei sotterranei della basilica di San Lorenzo, che ospita la tomba di Maria Luisa e il suo monumento, si è così tornati a parlare dei meriti di questa figura drammatica, moglie di Giovanni Guglielmo di Sassonia, Elettore palatino del Reno, che alla morte del fratello Giangastone, non avendo nessuno dei due avuto figli e falliti tutti i tentativi di legittimare una candidatura femminile alla guida del Granducato, dovette consegnare la Toscana ai Lorena, cioè ai viennesi, ma non prima di avere vincolato tutto il patrimonio con la clausola che ne impediva lo spostamento da Firenze.
Se insomma l’arte della città è rimasta integra negli ultimi secoli lo dobbiamo a lei. «Se abbiamo la Venere del Botticelli — scrive Daniela Cavini — è grazie a lei. Se custodiamo il Giorno e la Notte di Michelangelo o il David di Donatello, lo dobbiamo al suo acume». E non meno importanti furono le motivazioni con cui Maria Luisa scrisse quel documento. Lei esplicitamente si proponeva di «conservare l’ornamento dello Stato, per l’utilità del pubblico e per catturare la curiosità dei forestieri». Una grande lezione di moralità del potere, di etica della responsabilità. Una concezione della cultura come strumento di crescita culturale e civile promossa dallo Stato e, insieme, come forma di investimento. Un vero e proprio manifesto di governo, che tuttora conserva intatto tutto il suo valore.
Correva l’anno 1737: una donna lanciata nel futuro. Alla quale, come ha ricordato Acidini, gli Uffizi avevano pensato di dedicare una delle quattro statue femminili che avrebbero dovuto adornare la loggia di Isozaki all’uscita della Galleria. Ma la statua è rimasta nel mondo dei sogni, insieme con la loggia dell’archistar giapponese. Non è un motivo sufficiente per rassegnarsi a una memoria ancora troppo nascosta di Maria Luisa. Perché non dedicarle una statua nel cuore della città che lei preservò? Magari proprio nel mezzo del piazzale costruito dal Vasari? Non ci vorrà più coraggio di quanto ne è servito per mettere in piazza Signoria il colosso informe di Fischer. Oppure perché non recuperare un’altra idea della stessa Acidini, che al sindaco Nardella parlò della possibilità di mettere una statua di Maria Luisa nella nicchia rimasta vuota dentro il Salone dei Cinquecento, in perfetta simmetria non solo geometrica con la statua di Leone X, il grande Papa Medici? Il presidente dell’Opera Mediceo-Laurenziana, Paolo Padoin, si è dichiarato pronto a sostenere ogni iniziativa comune per cogliere il risultato. Proviamoci, almeno. Anche per riparare a un torto. C’è scritto dei Medici nelle ultime righe del libro di Cavini: «Stirpe di commercianti fatti banchieri e convertiti in principi, mecenati per proprio diletto più che per pubblica utilità, questi mercanti ammantati in panno rosso hanno cambiato il corso della Storia, accendendo commerci e intrighi, stimolando prosperità e feroce dissenso. Hanno finanziato il Rinascimento, innalzato un regno e scagliato la Toscana nel firmamento degli Stati europei. Ma l’antico ingegno di più lungimiranti si è disciolto nel bigottismo vacuo delle ultime generazioni. Il guizzo di Maria Luisa tenta di pareggiare i conti. Stroncata da un tumore, l’Elettrice chiude gli occhi nel febbraio del 1743. È Carnevale, e i fiorentini l’accompagnano all’ultimo riposo brontolando, perché il corteo funebre ha cancellato il corso mascherato. Così, è Firenze».