Da Landini a Donatella Di Cesare e Rifondazione, chi ripete: «Non si risponde alla guerra con la guerra». Le posizioni neutraliste mettono sullo stesso piano aggredito e aggressore.
Antonio Polito Corriere della Sera 5 marzo 2022
In ogni talk show ce n’è uno. Quello che dice: più gli ucraini combattono e più dura la guerra. Siccome alla fine vincerà comunque Putin, prima Putin vince e prima ci sarà la pace. Elementare, Watson. Dunque, per il bene degli ucraini, non aiutiamoli a resistere, né con le sanzioni né con l’invio di armi. Questa inversione dell’onere della pace, per cui dovremmo essere noi, Occidente, a «cessare» una guerra avviata da Putin, evitando di farlo arrabbiare e fingendo di non sentire — ovviamente per il loro bene — gli ucraini che ci chiedono aiuto, può avere effetti paradossali.
Libertà e guerra
L’altra sera, per esempio, una valente filosofa, Donatella Di Cesare, cercava di convincere in tv una esterrefatta profuga ucraina, con i familiari sotto le bombe, che «non si conquista la libertà attraverso la guerra» e che «la pace è anche pensare di poter avere torto». Ma gli ucraini la libertà ce l’avevano già, e pure la pace. E tornerebbero volentieri al 23 febbraio, a prima dell’invasione. La guerra non l’hanno cominciata loro. E anche se, adesso che sono stati invasi, combattono per la libertà, negargli questo diritto ci costringerebbe a riscrivere tutti i libri di storia delle nostre scuole, e condannare Mazzini e Garibaldi e le tre guerre di indipendenza, e pure il poeta Byron che andò a battersi e morire per la libertà della Grecia, e strappare centinaia di pagine sulla autodeterminazione dei popoli.
Lord George Byron con il costume albanese Thomas Phillis,1835.
Un esempio dalla storia
La frase chiave di questo argomento dice: «La pace è più importante di tutto, anche della libertà». È più o meno ciò che pensava la folla plaudente che accompagnò nel 1938 Neville Chamberlain, premier britannico, alla partenza per la conferenza di Monaco; dove, per salvare la pace, cedette a Hitler la regione cecoslovacca dei Sudeti, che venne annessa al Reich (le minoranze linguistiche sono sempre state un potente afrodisiaco dei tiranni). Si sa come finì: con la guerra mondiale un anno dopo. Winston Churchill, che era un grande giornalista e farebbe un figurone nei talk show dei nostri giorni, spiegò icasticamente che cosa era successo ai governanti inglesi: «Potevano scegliere tra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore, avranno la guerra». Perché non c’è pace basata sul sopruso.
Aggredito e aggressore
Ma quel che più preoccupa è che il tentativo di invertire l’onere della pace non si limita ai talk show. Se ne sente per esempio l’eco anche nel movimento che oggi scende in piazza a Roma con la Cgil. L’altra sera abbiamo ascoltato Maurizio Landini a Tg2Post sostenere, con la sua abituale foga, che «noi dobbiamo cessare questa guerra», ed «evitare la Terza guerra mondiale che dice Biden», e che perciò invece di mandare le armi, perché «non si risponde alla guerra con la guerra», «bisogna che scenda in campo l’Onu». Intendiamoci: ottima idea, e lodevoli intenti. Ma chi è che impedisce all’Onu di scendere in campo, se non la Russia che ha posto il veto in Consiglio di sicurezza sul cessate il fuoco? E giustamente, dal suo punto di vista, visto che è il Paese aggressore. Il difetto di queste posizioni «neutraliste», che hanno portato la Cisl a non aderire alla manifestazione, sta proprio nel mettere sullo stesso piano aggredito e aggressore.
Vecchi slogan
La riedizione di un vecchio e famigerato slogan degli anni di piombo, «né con lo Stato né con le Br», conclude il documento con cui Rifondazione comunista ha aderito al corteo di oggi: «Né con Putin né con la Nato». Vi si condanna sì, in due parole, «l’invasione russa dell’Ucraina». E però anche «l’espansionismo della Nato che ha deliberatamente prodotto un’escalation irresponsabile alimentando il nazionalismo ucraino e l’attacco contro le repubbliche del Donbass». Ora, si possono avere tante e legittime opinioni su che cosa sia successo in quella parte dell’Europa fino al 23 febbraio: ma non si può negare che oggi in Ucraina ci siano i carri armati e i missili russi, non la Nato. E se si è contro la guerra, è contro chi la fa che bisogna manifestare.
La resistenza ucraina
Questo fronte contesta spesso al governo e al Parlamento italiano, e all’Europa tutta, di non avere una strategia: a che serve — chiedono — aiutare la resistenza ucraina? Si possono dare due risposte. La prima: a impedire o ritardare la vittoria dell’aggressore, o a mutilarla nel caso che la ottenga sul campo con migliaia di vittime innocenti, facendogli pagare un tale prezzo politico, economico e morale, da chiedersi se ne sia valsa la pena. La seconda: per evitare che lo rifaccia, lui o il suo successore. Perché dopo la Georgia siamo stati zitti, dopo la Crimea quasi zitti, e se tacciamo anche ora, dopo l’Ucraina — statene certi, cari pacifisti — la guerra toccherà anche alla Moldavia, e di nuovo alla Georgia, e magari anche ai Paesi Baltici.
Aiutiamo dunque chi resiste perché è giusto. Ma anche perché amiamo la pace. Amiamo la pace