Passeggere: “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?’”. Venditore: “Speriamo… Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere
Giacomo Leopardi, Operette Morali
Il dialogo, scritto nel 1832, è ambientato per strada, in una città di cui non viene indicato il nome. Giacomo Leopardi l’anno dopo si trasferì con l’amico Ranieri a Napoli, dove il poeta visse gli ultimi suoi tristi anni: scampato al colera scoppiato nell’ottobre 1836, morì qualche mese dopo per idropisia e conseguente attacco di asma a soli 38 anni. Nonostante ciò il tono di questo dialogo è diverso da quello sarcastico e amaro di tante Operette, le considerazioni sulla irrimediabile infelicità umana sono pacate, quasi serene. Infatti il passeggere giunge alla conclusione che la felicità consiste nell’attesa di qualcosa che non si conosce, nella speranza di un futuro diverso e migliore del passato e del presente:“Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”.
Giacomo Leopardi Ugolino Panichi 1898 Recanati
La speranza e la fiducia nelle sorti dell’umanità sono state il motore della storia in ogni epoca e in ogni terra, un élan vital, direbbe il filosofo Henry Bergson, che ha permesso di superare momenti drammatici come quelli vissuti da Leopardi. In quell’epoca imperversavano il colera e altre tragiche pandemie e ampi strati di popolazione vivevano in gravi condizioni d’indigenza, con alti tassi di mortalità, in particolare di quella infantile, quasi del tutto privi di assistenza sociale e medica. L’Italia era da secoli teatro di scorrerie di eserciti stranieri e si poteva solo avere la speranza di un futuro migliore, un sentimento condiviso di poter un giorno far parte di una comunità nazionale, come d’altronde lo stesso Leopardi aveva auspicato: “La propria nazione, coi suoi confini segnati dalla natura, è la società che ci conviene. E conchiudo che senza amor nazionale non si dà virtù grande” (Pensieri di varia filosofia e bella letteratura, Zibaldone, 1838)
Il suo messaggio di amor patrio e di fratellanza universale a distanza di due secoli è ancora valido oggi ai tempi del Covid, nonostante le forti differenze tra l’Italia di Giacomo Leopardi e L’Italia del 2020, un Paese che ha conosciuto, sia pure tra luci e ombre, un forte processo di modernizzazione economica, sociale e politica a partire dai progressi della medicina e della scienza. Eppure è bastato l’imprevisto arrivo di un virus fortemente contagioso e letale per farci ritrovare in un’atmosfera di paure, di risentimenti e di false credenze. Il 2021 inizia ancora in piena pandemia, ma si apre alla speranza di un’uscita da questa emergenza sanitaria con l’inizio di una vaccinazione di massa nel giro di alcuni mesi.
E i tempi saranno brevi se gli italiani, come nel passato, a partire dalle classi dirigenti, ritroveranno un senso di responsabilità collettiva, la coscienza civica di un popolo unito e non diviso in egoismi individuali e di fazione. Lo dobbiamo non solo a noi stessi come comunità nazionale, ma soprattutto alle nuove generazioni che hanno diritto, oltre che a una formazione che ne faccia cittadini preparati e responsabili, a sperare in un futuro non horribilis come quest’ultimo anno di scuole chiuse e di restrizioni sociali.