Roma, Palazzo Venezia-Gallerie Sacconi del Vittoriano, (7 dicembre 2017-4 marzo 2018)
L’affascinante dittico espositivo attualmente (7 dicembre 2017-4 marzo 2018) allestito sotto l’egida del Polo Museale del Lazio e con i contributi di ricerca di una selezionata schiera di studiosi coordinata da Emanuele Pellegrini – cui si deve anche il bel saggio di apertura del catalogo – si articola entro uno spazio urbano che, richiamato dal titolo della mostra (“Voglia d’Italia. Il collezionismo internazionale nella Roma del Vittoriano”) coinvolge due monumenti di forte connotazione simbolica per l’Italia post-unitaria.
Si tratta di quello spazio che ancora all’indomani della Breccia di Porta Pia, veniva chiamato Campo Vaccino: qui infatti sostavano le mandrie che, dalle campagne circostanti, venivano avviate all’infausta macellazione. Il colle del Campidoglio sovrastava ancora i campi incolti confinanti con le pertinenze di quell’edificio, voluto dal cardinale veneziano Pietro Barbo, in seguito Papa Paolo II (1467-71), che a metà Cinquecento fu ceduto alla Repubblica di Venezia. Questa ne fece la propria sede diplomatica fino alla fine del ‘700, allorchè, con il tramonto della Serenissima, Palazzo Venezia (appunto!) fu reclamato dall’Austria che ne mantenne la funzione di rappresentanza diplomatica fino alla Prima Guerra Mondiale. Successivamente, l’Italia facendo valere i propri legittimi diritti sull’edificio, lo destinava ad un Museo di Arte Medievale e Rinascimentale le cui sorti e i diversi allestimenti furono segnati dalle vicende del ventennio fascista. Per la sua forte valenza in chiave nazionalistica, il Palazzo fu scelto da Mussolini come sede del governo fascista, insediando il proprio ufficio nella celebre sala del Mappamondo (con l’adiacente balcone!).
Questi dettagli, apparentemente periferici rispetto al tema della Mostra, si rivelano significativi non appena si accenni al fatto che il più cospicuo nucleo dei suoi “tesori” pervenne al Museo nel 1933, per volere testamentario di un’ardente ammiratrice del Duce. Henriette Tower (1856-1933), facoltosa vedova del diplomatico americano George Washington Wurts (1843-1928), aveva già disposto nel 1928 la donazione di Villa Sciarra – la residenza estiva della coppia fin dall’inizio del Novecento dove, a suo tempo, D’Annunzio aveva ambientato alcune scene de Il Piacere (1890) ,– al “capo del governo italiano”. Alla morte di Henriette Tower Wurts, il suo testamento disponeva anche la donazione a Mussolini delle pregevoli, quanto eclettiche collezioni d’arte (sculture lignee, arte asiatica, fondi oro etc.) conservate presso Palazzo Antici–Mattei (dimora abituale della coppia), con la condizione che queste fossero esposte negli ambienti di Palazzo Venezia. E’ quindi entro una ben delineata cornice simbolica che gli organizzatori della presente Mostra hanno scelto di esporre in situ una selezionata campionatura del lascito Tower-Wurts, affrancandolo dal comprensibile oblio storico che ne aveva segnato le origini, nonché di collegarne idealmente gli spazi con le Gallerie Sacconi del Vittoriano. In modo che le due sedi – diverse nell’immaginario collettivo per l’origine storica e il diverso contenuto espositivo – potessero dialogare fra loro accrescendone le rispettive valenze semantiche.
L’esperienza della visita, dunque, si attiva ad un duplice livello. Quanto promana dalla esplorazione delle “connotate” sale di Palazzo Venezia (secondo il progetto di allestimento di Benedetta Tagliabue), stimola interrogativi circa il gusto e le curiosità estemporanee dei due collezionisti americani. Osserviamo manufatti, dipinti ed objets d’art raccolti lungo percorsi esistenziali che rispecchiano una biografia cosmopolita ed “illuminata” apparentemente agli antipodi rispetto alle atmosfere di Palazzo Venezia negli anni Trenta, declinata secondo i canoni di un’ostentazione onorifica che, d’altra parte, se accomuna molti esponenti della diplomazia internazionale (basti pensare al caso di Lord Layard), caratterizza anche i comportamenti della “classe agiata” descritta da Thorstein Veblen a inizio ‘900. La seconda partizione del dittico espositivo si manifesta allorché ci trasferiamo nelle recentemente restaurate Gallerie Sacconi (dal nome del progettista del monumento). Queste costituiscono le possenti fondamenta del Vittoriano, l’edificio originariamente dedicato a Vittorio Emanuele II, inteso a celebrare la compiuta unificazione nazionale. Il processo di tumultuosa urbanizzazione della capitale, cancellato il Campo Vaccino, qui aprì spazi al monumento eretto sul versante settentrionale del colle Capitolino a partire dal 1885. Inaugurato nel 1911 in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia e della coeva Esposizione Universale, dal 1921 custode della salma del Milite Ignoto, completato nel 1935, il Vittoriano è oggi diventato uno dei più forti simboli laici del paese – quasi che questa seconda sede della Mostra ne volesse suggerire l’alterità rispetto agli intenti di opinabile ossequio dei coniugi Wurts. Nelle Gallerie Sacconi vengono finemente tracciati gli umori stilistici che pervasero il clima culturale della giovane nazione, dei suoi cenacoli (primo fra tutti quello D’Annunziano), e della nascente alta borghesia. Attraverso esemplari del collezionismo d’arte che ha accompagnato le stagioni del liberty e del decadentismo fra ‘800 e ‘900 – per mano di intenditori, mercanti e collezionisti, italiani e non –vengono proposte le sfaccettature del farsi di quel gusto estetizzante che ha reso il patrimonio storico-artistico italiano ispirazione e “preda” per il grande collezionismo internazionale.
Gli accattivanti saggi raccolti nel catalogo che accompagna la Mostra (pubblicato da Arte’m/Prismi, Napoli, 2017; pp.519) costituiscono un eccellente strumento volto a documentare gli intrecci fra collezionismo, mercato dell’arte e mecenatismo in un particolare momento storico. Quello, cioè, del diffondersi di un gusto estetizzante che aveva (anche) la funzione di legittimare i nuovi assetti ostentativi della stratificazione sociale– sia in Europa che, e soprattutto, in America. Generosamente illustrato, il catalogo tratteggia la fisionomia sociale ed i gusti dei Wurts (si vedano i saggi di C.Brandon Strehlke, D.Levi, G.M.Fachechi, D.Brasca, L.Tonini, M.Weniger, C.Pollard). Questi, come ci ricordano i saggi di F.Baldry e M.Minardi, non hanno certo costituito un caso isolato nel panorama italiano fra ‘800 e ‘900. Altri interessanti contributi toccano la vicenda italiana delle arti applicate e del loro ruolo ante-signano rispetto ai successivi sviluppi del “made in Italy” (C.Paolini), nonchè saggi che trattano dei “falsi d’arte” (G.Mazzoni) e delle più e meno efficaci misure di tutela del patrimonio storico-artistico nazionale intraprese dal governo italiano (V.Napoleone). Chiude il catalogo un opportuno intervento di V.Farinella che storicizza il combattuto processo progettuale che ha segnato le vicende decorative del Vittoriano – scandite fra accademismo di alta scuola e istanze (rimaste insoddisfatte) di un totale rinnovamento stilistico.
Margherita Ciacci Comitato fiorentino per il Risorgimento
ROMA
Palazzo Venezia
Ingresso da Piazza Venezia
Martedì/Domenica 8.30 – 19.30 (chiuso il lunedì)
La biglietteria chiude un’ora prima
Gallerie Sacconi al Vittoriano
Ingresso da Piazza Venezia e da Via del Teatro di Marcello (lato Aracoeli)
Tutti i giorni 9.30 – 19.30
La biglietteria chiude un’ora prima
Biglietto unico valido per un ingresso agli Ascensori panoramici del Vittoriano, alla mostra “Voglia d’Italia” nelle Gallerie Sacconi al Vittoriano e a Palazzo Venezia (mostra “Voglia d’Italia” e percorso museale).
Intero € 10,00
Ridotto € 5,00
Gratuito: riservato alle categorie previste dalla legge e consultabili sulla pagina ufficiale del MiBACT www.beniculturali.it
Ingresso gratuito la prima domenica di ogni mese.