Intervento di Alessandra Campagnano del Comitato Fiorentino per il Risorgimento alla ricorrenza del XX SETTEMBRE in piazza dell’Unità a Firenze
Permettetemi di ricordare, prima della celebrazione dell’anniversario di Porta Pia, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che da ieri riposa nel cimitero di Livorno. È a lui che si deve – come è stato ricordato nei giorni scorsi – la rivalutazione con orgoglio dell’essere italiani con la bandiera e con l’inno. A lui il nostro ringraziamento sincero, perché – come ha ricordato Fabio Bertini bel fondo sul nostro sito – “aveva contribuito a raccordare la società civile e i valori del Risorgimento”.
Ormai da alcuni anni abbiamo ripreso a celebrare la data del 20 settembre, anniversario della breccia di Porta Pia. Con quel fatto si compiva una delle aspettative del Risorgimento italiano: che Roma fosse la capitale dell’Italia riunificata dopo secoli di oppressione: “Ché schiava di Roma/Iddio la creò”, come recita la prima strofa del Canto degli Italiani. Era un sogno che univa trasversalmente programmi politici di diversa impostazione: avviato dai democratici con la Repubblica romana e proseguito poi con le sfortunate spedizioni garibaldine del 1862 (Aspromonte) e del 1867 (Mentana) si realizzò per intervento dell’esercito italiano dopo la fine del II impero francese, nonostante che subito dopo l’unità il cattolico liberale Bettino Ricasoli da primo ministro avesse avviato tentativi diplomatici per convincere il Pio IX e la curia romana a risolvere il nodo di Roma in modo pacifico. La breccia di Porta Pia segnò la fine del potere temporale dei papi e l’inizio di un percorso lungo e difficoltoso per la storia d’Italia. Eppure, come 100 anni dopo sottolineò Paolo VI, quell’evento fu una benedizione per la Chiesa perché la liberò dagli impicci della gestione di affari che la distraevano dalla sua dimensione spirituale.
Al tempo di Pio IX in ambito cattolico i più ritenevano che il potere temporale servisse a dare autonomia ala papato proprio nella sua missione spirituale. Invece lo stato italiano non impedì alla Chiesa di portare avanti la sua missione spirituale, attraverso lo Statuto Albertino, per quanto restrittivo nel dare rappresentanza alla totalità dei “regnicoli”, con il rinforzo della legge delle guarentigie, garantiva pur sempre che la religione cattolica era religione di Stato, ma garantiva anche libertà di culto alle minoranze di ebrei e valdesi con le Regie lettere patenti del 1848, e non impediva alle organizzazioni religiose di svolgere attività caritativa e assistenziale a favore dei più bisognosi. Per citare un esempio a noi vicino, la Venerabile Arciconfraternita della Misericordia continuò la sua opera. Però per la Chiesa del Sillabo e del dogma dell’infallibilità papale, per i cattolici non era conveniente (non expedit) partecipare alla vita politica di quello Stato che aveva soppresso il potere del papa-re. Fu una frattura destinata a pesare nella vita dello stato, creando non poche problemi di coscienza in quei cattolici che, come Alessandro Manzoni, Gino Capponi, Bettino Ricasoli – i cattolici liberali – avevano partecipato e continuavano, anche dopo Porta Pia, a partecipare alla costruzione dello stato unitario. Con il non expedit per loro si chiudeva definitivamente la speranza di una riforma endocattolica che, privando la Chiesa di interessi mondani (le cinque piaghe dell’abate Rosmini), le ridesse lo spirito evangelico delle origini.
Roma capitale d’Italia significava la costruzione di uno stato laico, moderno, già avviata a Torino e a Firenze, in cui fossero garantiti la libertà d’espressione, il libero pensiero, il progresso scientifico e umano. Per un paese come l’Italia, ancora arretrato, si trattò di obiettivi non facili da raggiungere, eppure, nonostante le ombre che offuscarono il cammino, gli Italiani dimostrarono di voler essere un popolo. Infatti fin dai primi anni dopo l’unità il Paese fu funestato da lutti: oltre alla III guerra d’indipendenza, epidemie di colera, alluvioni e disastri che videro subito una gara di solidarietà nel raccogliere fondi ed aiuti vari per le popolazioni più sfortunate. E questo dopo che per secoli stati e staterelli nella penisola avevano fatto politica autonomamente, senza alcun coinvolgimento dei propri abitanti. La stampa degli anni ’60 del XIX secolo si faceva portavoce di iniziative spontanee di comitati, anche femminili, che si impegnavano per aiutare chi soffre.
Siamo a circa un mese dal terremoto che ha colpito l’Italia centrale e il nostro pensiero va alle vittime e a chi vive in condizioni di estremo disagio, sperando di poter tornare in tempi brevi a una vita normale. È l’augurio che rivolgiamo loro con partecipazione e vicinanza. Lo spettacolo dei volontari che da ogni parte d’Italia sono andati a portare aiuto sotto le insegne della Protezione civile, e le raccolte di fondi organizzate da più parti ci ricollegano idealmente a quei nostri predecessori, sono il filo rosso che riunisce la comunità nazionale. Sarebbe bene ricordarsi di essere italiani anche quando la terra non trema e i fiumi scorrono nel loro alveo.
La fine del potere temporale dei papi non ha risparmiato al Paese il rischio del temporalismo, che si manifesta in forme e modi che in altri paesi dell’Occidente sono sconosciuti. Sta proprio a noi che celebriamo qui oggi il 20 settembre combatterlo con il dialogo che riaffermi le tutele dello stato laico, che garantiscono tutti, credenti e non credenti. Così sarà possibile affrontare le sfide che lo spostamento di tanti uomini e donne da terre lontane ci pongono, ricordando sempre che i valori della dignità di uomini e donne, bambini e bambine, vecchi e giovani, della libertà di espressione sono di vantaggio per tutti.
Solo così l’incontro con diverse culture potrà non trasformarsi in scontro di civiltà difendendo sempre le conquiste che la breccia di Porta Pia – libertà, uguaglianza, fratellanza, giustizia sociale – portava idealmente con sé.