…L’Italia è forte quando sa essere unita. Ed è stata forte soprattutto in questi tempi drammatici, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, grazie a una ritrovata credibilità collettiva: dai partiti in parlamento che hanno dato la disponibilità a mettere da parte le differenze e lavorare per il bene del Paese, con pari dignità, nel rispetto reciproco, agli italiani che hanno sostenuto questo miracolo civile e sono stati protagonisti delle misure che mettevamo in campo. Mai come in questi momenti sono stato orgoglioso di essere italiano.
In questa parte del suo intervento al Senato il 20 luglio scorso, Mario Draghi aveva rivendicato i buoni risultati del suo governo a livello nazionale e internazionale, ottenuti grazie anche al circolo virtuoso tra istituzioni e cittadini in una ritrovata credibilità del nostro Paese nel mondo.
La Costituzione italiana prevede però che il capo del governo debba godere della fiducia del Parlamento, non solo del consenso dei cittadini; e quando ciò non accade, come ha scritto l’opinionista del New York Times Christopher Caldwell “anche un premier capace e responsabile come Draghi è costretto alle dimissioni, senza che ciò venga interpretato come un vulnus alla democrazia”. La chiusura anticipata della legislatura pone però il problema, nato già dai tempi dell’Unità d’Italia con la monarchia e non risolto purtroppo con la nascita della Repubblica italiana, della stabilità di governi autorevoli. Dal 1946, la Repubblica ha visto alternarsi ben 67 governi (quasi uno all’anno!), presieduti da 30 primi ministri: un confronto impietoso con la tenuta di altri governi democratici europei.
Negli ultimi anni, poi, con la crisi dei partiti tradizionali, nata soprattutto dal tramonto delle ideologie ottocentesche e dai fenomeni economici e sociali legati alla globalizzazione, le attuali forze politiche in buona parte hanno perso uno stabile radicamento sociale e spesso sono movimenti d’opinione legati alla figura di un leader carismatico che puntano troppo sulla visibilità mediatica e poco sulla loro consistenza politico-culturale. Rischiano così di godere di effimeri successi seguiti da repentini tracolli, come se fossero lo specchio di una società definita felicemente “fluida” dal sociologo Baumann. L’attuale classe politica, priva dello spessore dei partiti del secolo scorso, rinchiusa nel suo particolare, cioè nella salvaguardia dei propri interessi “di bottega”, si caratterizza spesso per valutazioni partigiane, furbizie propagandistiche, visioni politiche anguste e proposte demagogiche, mentre perde di vista gli interessi nazionali e mina la credibilità del nostro Paese.
Eppure le severe denunce sui limiti e le contraddizioni dell’identità italiana sono parte essenziale della nostra storia letteraria, da Dante a Machiavelli e Guicciardini, da Leopardi a Manzoni e Carducci, da D’Azeglio a Croce, da Gobetti a Gramsci. Il risultato è di vivere in un Paese senza programmi, senza competenze, senza la capacità di comprendersi per riuscire a cambiare. In questa calda estate, Mario Draghi ha lavorato di concerto con il Quirinale per la stabilità delle istituzioni e del Paese, perché prevalesse il senso di responsabilità in tempi di emergenza economica, sanitaria e internazionale con la guerra in Ucraina, richiamando tutti, forze politiche e cittadini, ai doveri e all’interesse generale.
E soprattutto a questi doveri devono guardare tutti i partiti per la prossima scadenza elettorale del 25 settembre, perché il nostro Paese possa guardare con fiducia all’avvenire, con un forte richiamo a un padre del nostro Risorgimento come Mazzini, che nei suoi scritti richiamava gli italiani al dovere di servire la Patria. Verrebbe quindi da dire, parafrasando Croce, che in questo momento difficile per l’Italia “non possiamo non dirci mazziniani”.
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