Da due anni e mezzo è tornata la guerra in Europa. Ai suoi confini orientali, ma è pur sempre Europa: e proprio il desiderio degli ucraini di entrare nell’Unione Europea e nella Nato – specialmente dopo le annessioni manu militari della Crimea e del Donbass da parte della Russia – è una delle cause principali dell’invasione decisa da Putin. La situazione bellica ad oggi non fa sperare in una soluzione pacifica di un conflitto che ha causato moltissimi morti tra i civili e vaste distruzioni di case e infrastrutture dell’Ucraina.
Nel Medioriente invece, dopo il massacro perpetrato dall’organizzazione terroristica Hamas il 7 ottobre 2023 nei Kibbutz e il rapimento di 251 loro abitanti, il governo israeliano, per liberare gli ostaggi e sconfiggere definitivamente Hamas, ha portato la guerra nella Striscia di Gaza, provocando sì la morte di molti miliziani e dirigenti di Hamas, ma anche la strage di migliaia e migliaia dei palestinesi, che hanno la sola colpa di essere usati come scudo umano dai terroristi islamici. Rispetto all’Ucraina il Medio Oriente è relativamente più lontano dall’Europa, dove però vivono numerose comunità islamiche ed ebraiche: i musulmani di gran lunga in numero maggiore rispetto agli ebrei, 25 milioni gli uni, 1,5 milioni gli altri. Ovviamente ciò negli ultimi tempi ha portato, in nome del cessate il fuoco e della pace, a proteste solo a favore dei palestinesi e di Hamas e a un aumento di episodi di antisemitismo. Ad aumentare le tensioni in Europa, il governo israeliano, in risposta a mesi e mesi di attacchi missilistici quotidiani da parte degli Hezbollah, ha aperto in questi giorni un nuovo fronte di guerra nel territorio libanese.
In Europa, pertanto, i due fronti di guerra, l’ucraino e l’israeliano, non possono che alimentare forti preoccupazioni tra i governi per un possibile allargamento dei due conflitti, e si ricercano varie strade diplomatiche per arrivare se non alla pace, almeno a tregue momentanee.
Se si vuole però veramente arrivare alla pace, una pace vera e giusta bisogna saper riconoscere tra i paesi in conflitto chi ha ragione e chi ha torto: tra l’Ucraina e l’autocrate russo Putin che l’ha aggredita, tra Israele e Hamas e gli Hezbollah che lo vogliono annientare, nonostante gli errori politici e militari che possono aver commesso il leader ucraino Zelensky e il premier israeliano Netanyahu. Questo pacifismo pragmatico, che si misura sulla realtà geopolitica delle nazioni, è proprio delle società aperte o libere, che non possono che preferire la pace alla guerra perché la pace favorisce insieme benessere e libertà individuale. Ma poiché spesso nella politica internazionale la forza pesa più del diritto, anche le società libere, per sopravvivere, devono contare sulla forza.
Esiste però anche un pacifismo fondamentalista, della pace senza se e senza ma, fondato su una antropologia positiva di stampo rousseauiano (l’uomo è buono per natura anche se può essere corrotto dalla società), con la conseguente convinzione che le asimmetrie di potere e l’esercizio del potere siano accidenti della storia, anziché tendenze ineliminabili della natura umana. In Italia questo pacifismo astratto, talora viziato da pregiudizi ideologici, trova la sua forza anche in una lettura strumentale dell’articolo 11 della nostra Costituzione sul ripudio della guerra; giustamente in un articolo del Corriere della Sera del 4 giugno 2024 Maurizio Caprara scrive che l’articolo va letto nella sua interezza: «Quello che ripudia è “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Se fosse stato diversamente, dopo la parola ‘guerra’ i costituenti avrebbero messo un punto; che non c’è. Qualora fossimo attaccati o lo fossero nostri alleati o Paesi amici, la Costituzione non impone per niente di bendarci gli occhi e legarci le mani”.
Va comunque detto che questo pacifismo dell’irrealtà appartiene per ragioni storiche, culturali e sociali soprattutto al mondo delle Chiese cristiane, in Italia quella cattolica, e a una parte consistente della sinistra, soprattutto in chiave antioccidentale e anticapitalista. Le costanti invocazioni alla pace in questi mesi di Papa Francesco ricordano le dichiarazioni di Papa Benedetto XV quando il 1° agosto 1917, indirizzò la sua celebre Nota alle potenze belligeranti, chiedendo che ponessero fine alla Prima guerra mondiale, che definì, com’è noto, un'”inutile strage”.
A questi filoni pacifisti va aggiunto anche quello delle donne. Dal 28 aprile al 1° maggio 1915 si svolse all’Aja il Congresso Internazionale delle Donne per la Pace. L’Europa era in guerra da poco meno di un anno, e di lì a un mese sarebbe entrata in guerra anche l’Italia. Il Congresso, organizzato da donne provenienti tanto da Paesi belligeranti quanto da Paesi neutrali, rappresenta un momento importante della storia del femminismo pacifista – e del pacifismo in generale –, perché fu il primo a essere organizzato a livello internazionale con la guerra in corso, e dopo che i partiti socialisti – tranne quello italiano – si erano schierati a fianco dei rispettivi governi. Fa da contraltare a queste manifestazioni pacifiste il sacrificio di tante crocerossine italiane sul fronte di guerra e l’impegno di molte donne nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro al posto degli uomini in divisa a combattere per l’Italia.
Negli anni in cui si concludeva il processo unitario con la Grande Guerra, non possiamo dimenticare il patriota e pacifista Ernesto Teodoro Moneta: fu tra i Cacciatori delle Alpi nella seconda guerra d’indipendenza e, l’anno successivo, partecipò alla spedizione dei Mille. Attivissimo animatore del movimento pacifista italiano, fu tra i fondatori, nel 1887, dell’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato. Nel 1889 inaugurò a Roma il primo Congresso nazionale della pace. Come riconoscimento delle sue molteplici iniziative gli fu conferito nel 1907 il Premio Nobel per la pace. Nei suoi scritti propone il suo pacifismo “patriottico e armato”, che non rinuncia alla necessità della difesa nazionale, per cui nel 1915 si schierò a favore della guerra contro gli Imperi centrali, al cui militarismo imputava la responsabilità del conflitto mondiale; e sempre nei suoi libri ricorda “che per la vittoria occorre il coraggio dei combattenti per la libertà e per la patria, che la pace, deve essere la pace dei liberi e dei forti e che infine vanno coltivati la costanza, lo spirito di sacrificio, la disciplina, tutte le virtù che danno ai popoli la coscienza della propria forza e il fermo proposito di far valere il proprio diritto…” Parole che si attagliano anche oggi a chi come in Ucraina e in Israele difende l’esistenza della sua patria, la libertà e la democrazia del suo stato.
Sergio Casprini
Ernesto Teodoro Moneta