Origine, natura e cura della mania del calcio
Autore Marcello Carrà
Editore La nave di Teseo
Anno edizione 2021
Pagine 144 p., ill. Rilegato
Prezzo € 50,00
È fuori dubbio che nel mondo di oggi uno dei morbi che ha avuto più successo, imponendosi su buona parte degli altri, soprattutto nelle nostre terre italiane, è quello del calcio. E con calcio voglio intendere proprio quel gioco in cui un certo numero di persone rincorre una palla, cercando di farla terminare all’interno di un cosiddetto portale in acciaio o similare, con una rete atta ad attutire fino a fermare la corsa della citata palla. Si suole definire tale procedura dinamica come “Gioco” o “Sport”, ma la realtà dei fatti è che questo diletto, a mano a mano debilitante per il fisico e soprattutto per la mente, deriva da un vero e proprio morbo, che si impossessa spesso del malcapitato corpo negli anni della più acerba gioventù. La malattia si sviluppa poi con decorso rapido portando al delirio totale.
Ditelo a Lorenzo Insigne: qualcuno gli ha rubato il «tiraggiro», l’ha fatto diventare segno grafico e fantasia su carta preziosa. Marcello Carrà, ingegnere civile con un debole per il disegno, racconta con le sue illustrazioni La sindrome del pallone. Origine, natura e cura della mania del calcio. Ne siamo tutti coinvolti, e non solo perché, domenica 11 luglio, a Wembley, dopo 53 anni, la giovane Nazionale di Roberto Mancini ha conquistato il Campionato europeo di calcio contro quei leoni inglesi di Kane e Sterling, e anche la voglia di rinascita e leggerezza dell’Italia tutta.
Il volume, che Luca Bottura nella sua postfazione definisce «poetico, cialtrone, maldestro, chirurgico», è una sorta di trattatello scientifico, una dissertazione nata prima del Covid che racconta per immagini il Bacillus Calcisticus. Carrà è un maestro di immaginazione, a partire da Adamo ed Eva che nel giardino dell’Eden sono calamitati da un pallone e giù a scendere con la sfera magica che ci fa soffrire, entusiasmare, volare, piangere e permea tutto il vissuto, dai fiori agli animali. Carrà è quasi un Arcimboldo del pallone e nei suoi tratti a penna biro, limpidi e potenti, si intravvedono echi di Bosch, Bruegel e anche del Dürer della Divina Commedia. L’artista definisce la sua opera «una dissertazione», nata «in virtù della consapevolezza che esiste una dissipazione di energia canalizzata su certe ossessioni (il calcio è solo una di queste), che sfavoriscono altri valori, materiali e spirituali».
Il Bacillus Calcisticus si àncora nel cervello della vittima, così la malattia si sviluppa con decorso molto rapido e si mostra in varie forme: grave, violenta, faccendiera, con tanto di deformazioni fisiche. Che Carrà rappresenta in modo ironico, ubriacante, irriverente. Ogni pagina è sorpresa, sorriso, meraviglia che scatta sulla fascia e fa gol alle consuetudini, ogni pagina ricorda certe metafore delle pagine ribelli e fuggitive di Osvaldo Soriano.
Il morbo, che tutti ci colpisce, ha anche un misuratore, l’empatometro calcistico, e naturalmente si fa fiori, piante e animali. Il bestiario di Carrà è una squadra in cui il gibbone ghermisce i palloni che arrivano dalle sue parti, un po’ come Donnarumma su rigori e traiettorie velenose. Ci sono la leonessa e il ghepardo in attacco, uno struzzo che porta la sfera tra capo e collo come il professor Jorginho, trait d’union fra difesa e attacco. Ad arbitrare la contesa un saggio elefante.
Il calcio è un’ossessione felice, per il quale Carrà propone anche divertenti cure, salvo che per coloro che si atteggiano a intellettuali, pur parlando semplicemente di calcio. È tutto un divertissement di segni, di idee, di racconti scritti ma l’artista poi si fa serio e spiega il senso della sua opera: «si è voluto esprimere il timore che la malattia calcistica, soprattutto nelle forme passive più gravi, si trasformi in un nuovo oppio in grado di alterare le menti e, soprattutto, far dimenticare gli altri problemi più rilevanti» Oggi, 11 luglio, quasi fosse l’11 luglio 1982, questo monito non ci tange, ma l’ammonimento di Carrà va anche oltre: «Questa dissertazione non condanna il calcio, ma non assolve gli eccessi mediatici e comportamentali, di ogni genere ad esso strettamente connessi». Pena il dissolversi dell’unicità del calcio. E non ci sarà un terzo tempo per salvare il gioco più bello del mondo. Dunque, si giochi molto e si esageri poco.
Maria Luisa Colledani Il Sole 24 ore 11 luglio 2021.
l 15 gennaio 195o Carlo Parola, difensore juventino è ritratto in una plastica rovesciata in Fiorentina-Juventus.