Il bombardamento di Dresda 13- 15 febbraio 1945
«La storia è dalla nostra parte», «Dio è con noi». Due varianti — la prima secolarizzata e la seconda religiosamente ispirata — di una stessa sindrome. L’una e l’altra espressione rinviano a un fenomeno politico e sociale di grande rilevanza: il fanatismo. Nei periodi in cui cresce l’incertezza e il presente è gravido di minacce, il fanatismo si diffonde. Oggi la ripresa dell’antisemitismo è una prova della sua diffusione in Occidente.
Il fanatico è colui che di fronte alla complessità del mondo nonché all’ambiguità morale che tale complessità porta con sé, se ne ritrae e, per sfuggire all’angoscia, sceglie di aderire a una visione iper-semplificata di quel mondo, ove tutto è chiaro, cristallino, ove, soprattutto, il Bene e il Male sono facilmente identificabili e, per conseguenza, impegnarsi per schiacciare le forze del Male è un imperativo morale. Il fanatico vede solo due colori: bianco e nero. Non è in grado di accettare l’idea che la realtà sia costituita da infinite gradazioni e sfumature di grigio. Il non fanatico sa che bene e male (ciò che l’opinione comune intende con questi termini) sono, in ogni momento, inestricabilmente connessi. Si prenda il caso dei bombardamenti alleati su Dresda all’epoca della Seconda guerra mondiale con tutte le vittime civili che provocarono. Sconfiggere il nazismo era imperativo ma quei bombardamenti erano davvero necessari per raggiungere l’obiettivo? Evitando di guardare le cose col senno del poi(che è sempre un madornale errore quando si parla di storia) ma con quello di allora, va riconosciuto che quei bombardamenti apparvero necessari a coloro che li decisero. Ma ci furono anche persone, impegnate con convinzione contro il nazismo, che furono a disagio di fronte a quelle azioni di guerra. È un esempio, fra i tanti possibili, dell’ambiguità morale che sempre accompagna la storia nel suo farsi, e le decisioni di cui è intessuta. I bombardamenti su Dresda sono un utile punto di paragone anche per giudicare il presente e certe forme di fanatismo di oggi. Perché quei bomdelli bardamenti, con tutte le differenze del caso, alla lontana, ricordano la guerra a Gaza. Qui la parola che conta è «genocidio». Coloro che ignorano il significato delle parole non avrebbero probabilmente difficoltà a definire «genocidio» i bombardamenti alleati sulle città tedesche della Seconda guerra mondiale. Ma forse non ci metterebbero l’accanimento che ci mettono etichettando così l’intervento israeliano a Gaza. Perché in questo caso entrano in gioco i sentimenti antisemiti. È un aspetto, ancora compiutamente da esplorare, dell’azione dei gruppi pro-palestina entro il mondo occidentale. Testimonia dell’incontro e dell’alleanza fra i secolarizzati («la storia è dalla nostra parte») e i religiosamente ispirati («Dio è con noi»), ossia fra un certo numero di occidentali, per lo più giovani, e i propagandisti dell’ideologia di Hamas. La legittimazione morale dell’esistenza di Israele è legata a un genocidio (un genocidio vero), ossia la Shoah. Ma se diventa senso comune l’idea secondo cui lo Stato di Israele sia a sua volta impegnato in un genocidio, allora quella legittimazione morale viene meno: Israele non ha diritto di esistere. Una posizione che, ovviamente, non ha nulla a che fare con il legittimo dissenso dalle scelte del governo Netanyahu. Non è solo una questione di ignoranza. Certo, l’ignoranza ha offerto un fertile terreno alla propaganda di Hamas. Ma il successo (innegabile) di quella propaganda si deve soprattutto alla esigenza di molti di semplificare il mondo. In modo da potere agevolmente identificare e scegliere il Bene (ciò che ritengono il Bene) contro il Male.
Ma, si potrebbe obiettare, che dire di coloro che difendono le democrazie nella sfida in atto contro le potenze autoritarie? Non sono anch’essi impegnati in quella che ritengono una lotta fra il Bene e il Male? Il punto è che chi difende la democrazia non lo fa perché pensa che la storia sia dalla sua parte o, per dire la stessa cosa con altre parole, perché pensa di essere «dal lato giusto» della storia. Dal momento che la storia non ha «lati» né un senso, né una direzione di marcia. Chi è impegnato a difendere la democrazia contro l’autoritarismo lo fa semplicemente perché la democrazia è un assetto di governo che consente alle persone di campare meglio di quanto ciò sia possibile per quelle che vivono sotto il giogo autoritario. Senza alcun bisogno di idealizzare le democrazie, di negare i loro tanti difetti.
Minacciate dall’esterno, le democrazie sono anche sfidate, dall’interno, da spinte estremiste convenzionalmente distinte fra quelle orientate a destra e quelle orientate a sinistra. Però sono distinguibili in questo modo solo fino a un certo punto dal momento che la forma mentis di coloro che le alimentano è la stessa. Come dimostra il fatto che l’antisemitismo, spesso, li accomuna. Il 2024, con le elezioni europee e con quelle americane, è un anno cruciale per le democrazie occidentali. Servirà anche a misurare la loro capacità — se questa capacità c’è — di tenere a bada le suddette spinte.
Angelo Panebianco Corriere della Sera 25 maggio 2024