Danilo Taino Corriere della Sera 24 novembre
Nell’Italia di oggi, un conduttore di talk-show televisivi che dice di essere liberista e sostiene che «la disuguaglianza fa bene» dev’essere un po’ sconsiderato. Se lo mette nero su bianco in un libro, cerca guai. Nicola Porro, però, ama il rischio: d’altra parte, così dev’essere un liberista. Quindi, il libro l’ha scritto e gli ha messo proprio quel titolo, roba forte: La disuguaglianza fa bene. Manuale di sopravvivenza per un liberista — edito da La nave di Teseo.
Sa che, nella cultura corrente, il libero mercato gode di cattiva stampa; che il «neoliberismo» non si capisce bene che cosa sia, ma serve da epiteto da lanciare contro presunti affamatori dei popoli; che per molti l’idea di limitare l’ingerenza dello Stato negli affari delle persone è da ostracizzare. Per questo parla di sopravvivenza in un mondo in cui quasi tutti si dicono liberali e quasi nessuno lo è alla prova dei fatti.
Più che un viaggio, il libro di Porro è una passeggiata ariosa tra i grandi del pensiero liberale, italiani e di tutto il mondo, contemporanei e passati. L’autore si muove per i sentieri che portano a spiegare la centralità della libertà nell’agire umano. Lo fa, però, fermandosi a raccogliere i fiori più sorprendenti, gli argomenti che colpiscono perché fuori dalla conversazione politica e accademica mainstream. Per dire: critica la religione che sostiene l’allarmismo sul riscaldamento globale; rovescia la retorica per dire che «senza un padre ricco San Francesco non sarebbe mai diventato povero»; esalta il ruolo della borghesia; difende l’individualismo; riscopre il ruolo dell’invidia; esalta la libertà di scegliere senza il paternalismo dello Stato. E dice che non andrà in vacanza a Capalbio: perché lì ci va la sinistra e la sopravvivenza, per un liberista, oggi è vivere fuori dall’impalcatura culturale costruita in lunghi anni dalla sinistra.
Questo, infatti, è un libro politico oltre che di pensiero. Al punto che si apre con il grido di «Liberali di tutta Italia, svegliatevi!». Invito generoso, probabilmente destinato a non volare alto nei cieli italiani, ma del tutto comprensibile. Il dominio culturale della sinistra, così profondo da essere diventato senso comune in gran parte degli ambiti della vita, non può essere liquidato con la critica alla sinistra stessa. È anche la mancanza di una destra liberale ad avere permesso il dilagare quasi incontrastato, in Italia, di convinzioni assistenzialiste, dell’idea dello Stato-tata, dello scetticismo sul ruolo dell’impresa, dell’infatuazione per la redistribuzione della ricchezza attraverso le tasse, del pregiudizio contro la creazione della ricchezza stessa, del pauperismo che corre sotto la pelle del Paese. È che i liberali italiani sono stati e sono grandi pensatori, ma quando si viene alla politica sono sempre finiti nella sabbia.
Porro, che è un giornalista, vicedirettore del «Giornale», fa un notevole lavoro d’informazione pura. Tratta i temi più rilevanti e controversi dell’oggi facendo parlare gli scritti di pensatori liberali di primo piano: tra gli altri, Adam Smith, Milton Friedman, Luigi Einaudi, Ludwig von Mises, Raymond Aron, Sergio Ricossa; fino ad Ayn Rand, per mettere sotto critica feroce il conformismo degli intellettuali e delle classi dirigenti. Tra i contemporanei, Francesco Forte, Nassim Nicholas Taleb, Francesco Giavazzi, Alberto Alesina, Antonio Martino; e Harry Frankfurt per spiegare che il problema non è la disuguaglianza ma la povertà, «i poveri soffrono perché non hanno abbastanza, non perché altri hanno di più».
Però fa anche un’operazione politica, entra in polemica diretta con mostri sacri della sinistra, non liberali. Ad esempio Umberto Eco, considerato da Porro uno dei teorici della superiorità antropologica degli individui di sinistra quando scrive che gli elettori di destra sono quelli che «salendo su un treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina». Ecco, questo è il punto politico che Porro vuole fare: non solo non è vero che la destra non legge; ha soprattutto scritto pagine straordinarie sulla libertà, che viene prima dell’uguaglianza. Si può rischiare di scriverlo.