Lettere a Sergio Romano Corriere della Sera Martedì 12 novembre
CENT’ANNI FA IN ITALIA IL SUFFRAGIO QUASI UNIVERSALE *
Non le pare curioso che il centenario della prima elezione della Camera dei deputati a suffragio quasi universale maschile (26 ottobre-2 novembre 1913) sia passata quasi sotto silenzio? Forse si vuole far dimenticare che, voluta e attuata da Giovanni Giolitti di concerto con Vittorio Emanuele III, la riforma, portando gli elettori da 2.900.000 a 8.500.000, provò che l’Italia era matura per la partecipazione democratica e che i collegi uninominali, con eventuale ballottaggio, garantivano la stabilità? Sarei lieto di conoscere il Suo pensiero.
Aldo A. Mola
Caro Mola, della riforma elettorale del 1913 si è parlato recentemente all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti in occasione dell’inaugurazione della «Sala Luzzatti» di Palazzo Loredan in cui sono state ordinate la biblioteca e le carte dell’esponente della Destra liberale che fu più volte ministro del Tesoro e presidente del Consiglio dal 31 marzo 1910 al 29 marzo del 1911. Luigi Luzzatti sapeva che occorreva allargare il suffragio e annunciò nel suo primo discorso che avrebbe proposto la riforma di una legge elettorale precedente, emanata nel 1882, per cui erano elettori soltanto i cittadini maschi che avevano compiuto i 21 anni di età, avevano fatto il biennio gratuito delle scuole elementari statati o erano in grado di pagare una imposta annuale sul reddito pari a lire 19,82. I tempi erano maturi, ma Luzzatti si trovò alle prese con una matassa particolarmente imbrogliata. I socialisti volevano il suffragio universale, mentre i conservatori e i giolittiani temevano che avrebbe giovato soprattutto alle sinistre. Luzzatti tentò una via di mezzo e propose al Parlamento una legge che presentava due caratteristiche: il suffragio sarebbe stato allargato a tutti coloro che sapevano scrivere almeno qualche parola e il voto sarebbe stato obbligatorio, come già accadeva in altri Stati fra cui Belgio e Svizzera. La proposta sarebbe dovuta piacere a tutti, ma i socialisti si opposero al voto obbligatorio perché temevano, come scrisse Ivanoe Bonomi in un libro apparso dopo la sua morte (La politica italiana dalla breccia di Porta Pia a Vittorio Veneto), «quella massa apatica e indifferente che, appunto per questa sua indole, fugge le novità e, se è costretta a votare, vota per i conservatori». Pur concepita con le migliori intenzioni, insomma, la legge proposta da Luzzatti avrebbe favorito i socialisti nelle regioni che erano maggiormente alfabetizzate, ma li avrebbe sfavoriti dove le masse potevano essere più facilmente manipolate dai notabili. Era una ulteriore conferma della dualità dell’Italia e del principio, valido anche ai nostri giorni, secondo cui le leggi che vanno bene per il Nord non vanno necessariamente bene per il Sud. Giolitti tagliò corto, lasciò intendere che l’unica soluzione possibile era il suffragio universale temperato da qualche limitazione (ma senza «voto obbligatorio») e invitò la Camera a votare contro la proposta di legge. Il governo cadde e Giolitti, come era nelle sue intenzioni, tornò al potere. La riforma della legge elettorale fu fatta dal suo governo e dette il diritto di voto a tutti coloro che avevano compiuti i trent’anni, anche se analfabeti, ai ventunenni che avevano i requisiti previsti dalla legge precedente o avevano fatto il servizio militare. Gli italiani che andarono alle urne nel 1913 furono cinque milioni e 100.615, soltanto il 60% degli aventi diritto, ma abbastanza per raddoppiare il numero dei socialisti alla Camera.
Sergio Romano
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Le date significative del riconoscimento del suffragio universale in Italia
1849 La Repubblica Romana promulgò la Costituzione, la più democratica in Europa a quei tempi, in cui convergevano gli ideali liberali e mazziniani, e superò anche la mai applicata Costituzione francese del 1793. La legge e la Costituzione proponevano tra l’altro il suffragio universale maschile (anche se ufficialmente non vietò il voto alle donne)
1945 Il 31 gennaio del 1945, con l’Italia divisa ed il Nord sottoposto all’occupazione tedesca, il Consiglio dei ministri, presieduto da Ivanoe Bonomi, emanò un decreto che riconosceva il diritto di voto alle donne (decreto legislativo luogotenenziale nº 23 del 2 febbraio 1945).
1946 Il 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 ebbe luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica a cui i cittadini e le cittadine italiane votarono per la prima volta con suffragio universale.
1946 Approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 la Costituzione Italiana agli articoli 56 e 58 stabilisce le limitazioni di suffragio universale per le votazioni alla Camera dei Deputati, aperta a tutti i cittadini maggiorenni, e al Senato della Repubblica, a tutti i cittadini con età superiore ai 25 anni. Inoltre all’articolo 75 la costituzione stabilisce che anche i referendum siano votati a suffragio universale, con le limitazioni della Camera dei deputati.