Alberto Lopez Comitato Fiorentino per il Risorgimento
Martedì 12 luglio presso la sede del rettorato dell’università di Firenze è stato ricordato il centenario della morte di Cesare Battisti (Trento 1875 – ivi 1916) avvenuta per impiccagione, condanna riservata ai traditori, per mano degli austriaci.
Stessa sorte toccò a Fabio Filzi (Pisino, Istria 1884 – Trento 1916), catturato insieme a lui due giorni prima, il 10 luglio 1916, dopo una notte di combattimenti. Infatti, Battisti si trovava, allora, dopo aver rifiutato l’impegno in retrovia, a capo di una compagnia del corpo degli alpini con il compito di conquistare la cima del monte Corno nell’ambito di una più ampia controffensiva attuata dagli italiani.
Allo scoppio della Grande guerra, come Filzi e tanti altri giovani trentini e giuliani – territori all’epoca austriaci – aveva scelto di arruolarsi nelle file dell’esercito italiano per portare a compimento il processo di unificazione dell’Italia con l’estensione dei confini nazionali alle regioni di lingua e cultura prevalentemente italiane che ancora erano soggette alla sovranità dell’impero asburgico dopo il 1870. Con queste motivazioni, che le altre nazioni coinvolte non avevano, la guerra in corso assumeva un valore ed un significato particolari in continuità con quelli del Risorgimento in misura tale che per l’Italia il conflitto poteva ritenersi, a pieno titolo, come la quarta guerra d’Indipendenza.
Alla cerimonia, che si è conclusa con la deposizione di una corona d’alloro nell’atrio del rettorato di fronte alle due lapidi che ricordano, oltre a quello di Battisti, i nomi degli altri studenti protagonisti dell’irredentismo risorgimentale, sono intervenuti il Magnifico Rettore dell’ateneo fiorentino Luigi Dei, la vicesindaca di Firenze Cristina Giachi, in rappresentanza dell’amministrazione comunale, il colonnello Paolo Bassoli, per l’Istituto Geografico Militare ed il professor Fabio Bertini, coordinatore dei Comitati toscani del Risorgimento.
Ma perché è importante per Firenze ricordare questo anniversario? Perché è qui che Battisti ha conseguito nel 1897 la laurea in Geografia con una tesi dal titolo “Il Trentino. Saggio di geografia fisica e di antropogeografia”, di grande interesse metodologico.
La monografia del giovane dott. Battisti poteva infatti additarsi come eccellente modello del genere, sia per la struttura generale, sia per le singole parti, nelle quali l’Autore aveva profuso tutto il migliore intelletto nella determinazione diretta e originale della fisionomia degli elementi fondamentali della corografia tridentina. Per suo mezzo il Trentino, cioè la sezione meridionale della Venezia Tridentina, era illustrato sotto ogni aspetto su un piano originale e moderno. Il Trentino fu la prima regione d’Italia che, per il contributo d’uno studioso, venisse a possedere una monografia morfografica e antropogegrafica fondata sui moderni espedienti areometrici e morfometrici.
Così scrive Luigi Filippo de Magistris, nell’introduzione a “Il Trentino. Cenni geografici, storici, economici, con un’appendice su l’Alto Adige”, Novara 1915, una delle ultime opere scientifiche di Battisti.
Si deve, infatti, ricordare che dopo il passaggio di Padova all’Italia, era impossibile per un suddito asburgico di lingua italiana poter seguire corsi universitari completi nel proprio idioma entro i confini dell’impero.
Ed è sempre a Firenze che Battisti ha conosciuto la donna della sua vita, Ernesta Bittanti, non solo fedele custode della sua memoria, ma prosecutrice irriducibile dell’impegno civile, culturale e politico che condivideva con il marito.
Infatti, l’interesse scientifico che Battisti nutriva andava di pari passo con la sua attività di propaganda di quei valori del Risorgimento che vedeva sintetizzati nel socialismo al quale aveva aderito nella convinzione che senza la partecipazione di un forte movimento popolare non sarebbe stato possibile portare avanti la causa dell’autonomia della minoranza italiana in seno all’impero austro-ungarico. Pertanto, si adoperò con ogni mezzo affinché in Trentino i ceti meno abbienti acquisissero la consapevolezza di essere parte di un gruppo etnico e linguistico con una tradizione
ed una storia che aveva forti legami con la cultura italiana, attraverso conferenze, riviste e la lotta per l’istituzione di un centro di ricerca e di attività scientifica che fosse di lingua e cultura italiane.
Il suo impegno nelle valli del Trentino fu coronato con l’elezione a deputato, sia al parlamento di Vienna nel 1911, che alla dieta del Tirolo, poi, alla vigilia della guerra. Ma le forti resistenze ed il violento ostruzionismo che trovò il progetto di un’università italiana, insieme alla deludente esperienza parlamentare, dove poté assistere alla deriva del governo su posizioni sempre più oppressive sulle questioni di politica interna e militariste su quelle di politica estera, fecero disperare Battisti circa la possibilità che il regime imperiale potesse evolvere pacificamente e gradualmente verso un assetto più liberale.
È in questo contesto che l’irredentismo si fece sempre più decisamente strada in Battisti: la liberazione delle nazionalità oppresse era ormai possibile solo con lo smembramento dell’impero
asburgico ed in questa logica le frontiere che l’Italia poteva rivendicare dovevano limitarsi a comprendere solo i territori abitati da popolazioni italiane.
Allo scoppio della guerra fare ritorno in Italia fu, dunque, una scelta inevitabile.
A distanza di un secolo da quegli eventi la testimonianza di Battisti resta di grande attualità, oggi più di ieri, in un’epoca di grande smarrimento, dove mancano proprio quei riferimenti che possono essere di aiuto per superare i momenti di maggiore difficoltà.
Mosso da grandi idealità, ciò, tuttavia, non gli impedì di fare scelte pragmatiche, dettate dalla necessità di ottenere risultati concreti.
Per questo, sia con le diverse anime del socialismo, che con le altre forze politiche ed i diversi movimenti irredentisti, cercava di soffermarsi più sugli elementi che potevano unire, che su quelli che potevano dividere, per poter portare avanti un’immediata collaborazione ed evitare situazioni difficili che avrebbero potuto precludere quelle future.
Infine, lui insieme a tanti della sua generazione, ci ricordano che senza generosità e spirito di sacrificio non si può pensare di costruire qualcosa di duraturo.