Nelle recenti polemiche sulla Buona scuola con proteste sindacali e manifestazioni in piazza di insegnanti, genitori e studenti contro la riforma del governo è stata contestata soprattutto la figura del preside, che nel decreto legge assumerebbe un potere eccessivo o da superburocrate, incapace di capire i reali problemi della scuola o peggio da occhiuto padrone, pronto a favorire gli amici e reprimere la libertà di insegnamento. Il potere decisionale non è mai responsabilità: è corruzione. Così la pensano i professori che difendono la collegialità, i sindacati che temono la managerialità e tutti quelli che temono la valutazione.
Una comunità scolastica è virtuosa però, quando c’e un minimo rispetto per i ruoli e le gerarchie, quando ciascuno per la sua parte si assume la responsabilità ed il merito delle sue azioni, è consapevole dei diritti, ma anche dei doveri della sua funzione.
In questa alzata di scudi contro il ruolo del preside si può leggere in filigrana il discredito che negli ultimi anni sta subendo la classe dirigente italiana a partire dal ceto politico che governa il nostro Paese.
E purtroppo i frequenti episodi di malcostume politico lo hanno ancor più avvallato.
Il 2 Giugno si celebra la Festa della Repubblica italiana, a ricordo della nascita della Repubblica con il referendum del 2 giugno 1946 e questo fu il risultato di tutte le forze politiche che all’indomani della Resistenza, concordi, al di là delle loro divisioni ideologiche, riportarono in Italia le libertà democratiche e dettero prestigio e legittimità alla neonate istituzioni repubblicane.
Un ceto politico non solo forgiato dalla lotta di liberazione, ma dotato altresì di spessore culturale e di competenze professionali che aveva acquisito negli anni precedenti, nonostante vivesse sotto il regime fascista.
Questo ciclo virtuoso della politica italiana accompagnò la crescita economica e culturale della Nazione dagli anni della Ricostruzione del dopoguerra fino agli anni ’60 del Miracolo italiano, successivamente la Repubblica italiana divenne sempre più partitocrazia e l’interesse precipuo dei partiti fu solo quello di salvaguardare il loro potere di autoreferenzialità, di non avere più alcuna visione ideale, né tantomeno credere a nuove finalità politiche-culturali fino alla loro grave crisi di credibilità ed autorevolezza degli ultimi tempi.
Un grave errore sarebbe però ipotizzare una società senza classe dirigente, senza poltrone da occupare, in nome di una democrazia diretta o di forme di autogoverno legittimate dai social network con plebisciti on line, ed aspirare quindi ad una società senza ruoli gerarchici, mitizzando un potere orizzontale, non più verticistico.
Sarebbe solo il prodromo di avventure totalitarie, di destra o di sinistra, come è avvenuto tragicamente nel passato.
Si tratta invece di formare una nuova classe dirigente, di ricostruire un forte potere statale capace di affermare la propria legittimità a governare e a disciplinare la società italiana, introducendovi determinati comportamenti, obblighi e regole di vita: tutte cose di cui oggi la nostra società democratica ha bisogno ancor più del passato.
E per questo occorre un scuola che ritrovi una forte identità culturale con buoni insegnanti e … con presidi autorevoli!