L’ultima esposizione dedicata a lui risale al 1969: il condottiero divide ancora l’opinione pubblica e, al fondo, imbarazza i francesi
Alberto Mattioli La Stampa 14 aprile
Sembra incredibile, ma i francesi hanno un problema con Napoleone. Gloria nazionale, certo. Francese tuttora più celebre di tutti i tempi, sicuramente. Simbolo di una grandeur ancora e sempre considerata un attributo della Nation, senza dubbio. Però l’ultima mostra importante su Napoleone risaliva, in Francia, al 1969, praticamente obbligatoria dato il bicentenario della nascita.
Napoleone è un eroe un po’ imbarazzante. Civilizzatore ma anche conquistatore. E’ l’erede della rivoluzione ma anche il suo affossatore. L’autore del Codice civile e di molte istituzioni francesi tuttora funzionanti, ma anche un dittatore e di mano non leggera. Gli intellettuali ne sono affascinati e imbarazzati insieme. Celebrarlo vuol dire (o almeno in passato ha voluto dire) mostrare la solita Francia sciovinista e arrogante. E fino all’attuale rinascita degli studi napoleonici, per anni Bonaparte è stato ignorato, mentre gli storici si concentravano sul prima (la Rivoluzione) e sul dopo (la Restaurazione).
Ciò detto, si capisce perché la grande mostra agli Invalides «Napoléon et l’Europe», abbia fatto tanto parlare di sé e soprattutto perché sia stata fatta così, con un insolito riguardo per le ragioni degli altri europei, quelli che Napoleone l’hanno più subito che voluto, e stando attenti a non darci dentro con la celebrazione. Anzi, si è semmai esagerato nella direzione opposta: la parte sulla caduta dell’Impero, dalla Russia a Waterloo, è perfino più ampia di quella sulla sua ascesa, da Austerlitz a Wagram. Vero è che la mostra, benché modificata, arriva da Bonn. Fra i cambiamenti c’è anche il titolo, che dall’altra parte del Reno suonava «Napoleon und Europa. Traum und Trauma». A parte il fatto che in traduzione si sarebbe perso il gioco di parole, presentare l’Empereur ai francesi con il titolo «Sogno e ferita» sarebbe stato un po’ troppo.
Fatto sta che la mostra è molto equilibrata, anzi moltissimo se si pensa che siamo pur sempre in Francia, anzi nello stesso palazzo che di Napoleone ospita anche la tomba. Per esempio il capitolo sull’«Europa di fronte a Napoleone», il più pericoloso, si apre con la rievocazione di tre «insorgenze» popolari antifrancesi: in Calabria nel 1806-7, in Tirolo nel 1809-10 e in Spagna dal 1808 in avanti, che fu per l’Impero il vero inizio della fine. Alla fine dell’inizio c’è invece la sconfitta di Trafalgar, nel 1805, che consegna al Regno Unito il definitivo (e alla fine fatale) dominio dei mari. Gli inglesi, magnanimi, hanno prestato il frac blu che lord Nelson portò durante la battaglia (e non dopo, perché com’è noto pagò la vittoria con la morte). Ma ci sono anche un’uniforme dello zar Alessandro I (piccola, però: tutti lo descrivono come un gigante) e una di Francesco I d’Austria, oggettivamente il più chic.
Anche argomenti tuttora spinosi come il risveglio della coscienza nazionale tedesca, lo scippo delle opere d’arte in giro per l’Europa e i flagelli di vent’anni di guerre quasi ininterrotte sono trattati con un’encomiabile imparzialità, francamente sorprendenti. A fare da contrappasso alle celebrazioni della gloire e della grandeur dell’Empereur abbondano le micidiali vignette inglesi, soprattutto quelle del bravissimo e cattivissimo Gillray.
Però napoleonofili e napoleonofobi restano, tutti, a bocca aperta davanti al «Primo console che attraversa il Gran San Bernardo» di David (poi andrà a vincere un po’ per bravura e molto per fortuna, a Marengo, una battaglia che in realtà aveva già perso), in trasferta da Versailles. Retorico, esagerato, eccessivo, certo. E anche irrealistico, perché in realtà Bonaparte il passo l’attraversò sì, però a dorso di mulo. Ma mai un ritratto d’Eroe ha avuto la stessa esplosiva, squillante evidenza. Semplicemente sublime.