Lettere a Sergio Romano Corriere della Sera 5 marzo
Umberto II di Savoia (Racconigi,15 settembre 1904-Ginevra,18 marzo 1983) fu Luogotenente del Regno dal 5 maggio 1944 al 9 maggio 1946 e quarto re d’Italia sino alla proclamazione della repubblica (18 giugno 1946). Partì da re, come riconobbe la Costituzione che infatti gli vietò il rientro in patria. Quale profondo conoscitore delle relazioni internazionali e storico, trova Ella normale che nessuna istituzione nazionale lo abbia ricordato nel trentennale della morte? In un secolo Casa Savoia contò due re abdicatari (Carlo Alberto e Vittorio Emanuele III), uno assassinato (Umberto I) e un terzo condannato all’esilio per trentasette anni. Pensa che l’omaggio del presidente Giorgio Napolitano alla tomba di Vittorio Emanuele II «Padre della Patria» al Pantheon nel 150˚del regno abbia pareggiato il conto della memoria storica? Ed è normale che le salme di Vittorio Emanuele III e della regina Elena giacciano in due diversi continenti mentre tutti gli Stati dell’Europa centro-orientale (Russia, Serbia, Albania, Montenegro…) hanno tributato onori ai sovrani di un tempo, sentendoli parte della propria storia? L’oblio dei re d’Italia (1861-1946) da parte delle istituzioni nazionali è segno di forza della repubblica?
Aldo A. Mola
Caro Mola, Umberto di Savoia ebbe la cattiva sorte di crescere nel momento sbagliato e, forse, nella famiglia sbagliata. Il regime lo detestava e sfogava contro la sua persona i mai spenti furori repubblicani del primo fascismo. Il padre non lo stimava ed era comunque deciso ad applicare la vecchia regola di famiglia secondo cui «in casa Savoia si regna uno alla volta». La madre lo amava morbosamente e gli impedì d’imporsi alla guida delle forze amate, se necessario anche contro la volontà degli gli Alleati, negli ultimi due anni del conflitto. La moglie si era progressivamente allontanata e aveva deciso di recitare, con grande dispetto di Vittorio Emanuele III, la parte della principessa ribelle. L’apprendistato del principe ereditario non poteva aver luogo in condizioni peggiori. Eppure, se gli italiani avessero scelto la monarchia, Umberto sarebbe stato probabilmente un re «normale», rispettoso della Costituzione e poco incline a rivendicare poteri che non avrebbe saputo o potuto esercitare. Ne dette una prova quando decise di lasciare l’Italia il 13 giugno 1946 senza persistere in un braccio di ferro che avrebbe diviso ancora una volta il sud dal nord. Anch’io penso, caro Mola, che sia giunto il momento di chiudere alcuni capitoli ancora aperti della storia nazionale. Mi è difficile capire perché la Repubblica abbia autorizzato il ritorno del figlio e del nipote di Umberto (due figure prive di qualsiasi interesse), ma si ostini a non consentire il rimpatrio di tre salme che appartengono alla storia del Paese. Piaccia a no, lo Stato nazionale esiste grazie al contributo di una dinastia che è, oltre a tutto, la più antica d’Europa. Possiamo davvero celebrare l’unità, come è accaduto due anni fa, senza dare una tomba ai due ultimi re d’Italia? I monarchici, d’altro canto, dovrebbero dare un contributo alla soluzione del problema rinunciando a quel tanto di legittimismo frustrato che ancora traspare da certe loro cerimonie. Il ritorno deve essere interpretato come un segno di maturità repubblicana, non di nostalgia monarchica.
Sergio Romano