GRUPPI DI DIFESA DELLA DONNA a Milano, 1943-45. Le reti femminili antifasciste all’origine dello stato sociale.
Da una casa all’altra, di quartiere in quartiere, nelle campagne e nelle province così come nelle grandi città, con collegamenti sempre più ramificati: il popolo dei Gruppi di difesa della donna (Gdd), settantamila antifasciste sparse nel Nord Italia, nacque dal basso a Milano e crebbe inarrestabile nelle regioni settentrionali a sostegno della Resistenza.
In vista dell’ottantesimo anniversario della Liberazione giunge ad hoc, proprio alla vigilia di Natale, un libro dal titolo bellissimo, Vogliamo vivere! una dichiarazione in cui c’è tutto. Lo hanno scritto le storiche Roberta Cairoli, Roberta Fossati e Debora Migliucci concentrandosi sulla dimensione milanese, disseppellendo nomi e cognomi, ricostruendo le reti, studiando i documenti. Un volume importante, esito di una ricerca voluta dall’Anpi sin dal 2015 e condotta attraverso lo scavo in vari archivi. Ne viene restituita una realtà che appare, ai nostri occhi, grandiosa. Gruppi femminili, infatti, ce ne sono stati (e ce ne sono) molti, ma questi per varie ragioni sono speciali. Innanzitutto, per il momento storico e per il contributo che hanno dato alla nascita della democrazia. Per la consistenza, per la compattezza che ha origine dalla consapevolezza degli obiettivi (il confronto, anche duro, sì, oziose divisioni no), per la trasversalità dei colori politici, dell’appartenenza sociale, del coinvolgimento nel lavoro. Un mondo accomunato da una parola, sufficiente a fare da collante: antifascismo.
Se alle più note va reso il merito di aver preso l’iniziativa e di averci creduto facendo crescere il movimento – figure che poi hanno avuto un ruolo politico significativo, come Lina Merlin, Ada Gobetti, Rina Picolato – alle anonime migliaia che in mille modi si sono spese va riconosciuto il valore della loro azione. Sono massaie, insegnanti, infermiere, operaie, contadine, studentesse, madri di famiglia, le tante italiane che non entravano nella Resistenza come combattenti o staffette ma che “resistevano” attraverso piccoli gesti, minute attività anche rischiose, capacità di accogliere e curare, disponibilità a mettere al servizio della causa ciascuna la propria abilità. Il libro prende le mosse dalle esperienze che anticipano quella dei Gdd negli anni 30, con le associazioni clandestine e le italiane esiliate in Francia (dove si stampa il giornale che diventerà «Noi donne» nel ’37). Dopo l’8 settembre il movimento femminile del Pci intuisce che bisogna strutturarsi, allo stesso modo il partito coglie la potenzialità della forza delle donne e spinge perché il movimento si allarghi. Ma la consapevolezza di dover andare al di là dei confini partitici si fa presto strada e il manifesto veicolato dal Pci nell’ottobre del ’43 sarà solo la base di una più ampia mobilitazione. Socialiste, liberali, cattoliche ingrosseranno le fila dei Gruppi di difesa della donna accanto alle comuniste, nel corso di un biennio in cui le militanti dell’area milanese arriveranno a essere oltre diecimila. Non solo. Le donne sono consce del fatto che accanto alla lotta del “qui e ora” andava già fissata la traccia di un futuro che avrebbe dovuto essere diverso sul piano dei diritti, dei rapporti familiari, degli orari e delle retribuzioni del lavoro: a leggere il manifesto programmatico, si ritrova in nuce la battaglia che sarà combattuta dalle 21 Costituenti nel ’46.
Come cominciano? In che modo riescono, da poche decine, a diventare centinaia e centinaia? Il libro lo spiega bene, e probabilmente quel che è successo a Milano si è replicato in modo analogo nelle altre realtà del Nord. Prima di tutto le fabbriche, dove lavoravano in tante anche perché gli uomini erano al fronte: qui si creano legami e intese, anche a seguito dello sciopero per il pane del marzo ’43 in una Milano allo stremo. Alla Magneti Marelli, all’Aeronautica Caproni, alla Face, alla De Micheli, alla Pirelli, alla Borletti, per citarne solo alcune, le operaie si organizzano, fanno circolare la stampa clandestina, preparano le manifestazioni, si occupano di volantini e bollettini, pianificano le azioni esterne. C’è da sostenere la lotta partigiana confezionando calze di lana, raccogliendo medicinali e denaro, preparando scorte di cibo. Nascono rapidamente anche gruppi nelle case, il passaparola è incessante e ben presto c’è la necessità di darsi una struttura per lavorare e coordinarsi al meglio. Nella città divisa in settori, si creano i comitati guidati dalle più esperte che stilano un rapporto sulla loro attività, poi si costituisce un comitato provinciale, mentre «Noi donne» è un riferimento per tutte. Cruciale, si ricorda nel saggio, il lavoro pedagogico fatto dalle più mature che spiegano alle giovani o inconsapevoli che cosa sia un sindacato democratico, leggono dei testi, ragionano sui princìpi di una futura Costituzione.
Propaganda e proselitismo di mese in mese infoltiscono i Gruppi, alcune componenti passano all’attività militare vera e propria, altre compiono atti di sabotaggio quotidiani (dalla manomissione delle insegne stradali in tedesco al taglio delle cinture dei pantaloni dei soldati sui tram per privarli delle armi). Il 16 ottobre 1944 i Gdd sono riconosciuti dal Comitato di liberazione nazionale e questo, ove mai ce ne fosse bisogno, conferma che senza il contributo delle donne la Resistenza non sarebbe stata la stessa. Dopo il 25 aprile, i Gruppi passano il testimone all’Unione donne italiane. Ma la loro esperienza sarà messa a frutto sul territorio, in un Paese che vuol rinascere, e l’assistenza da loro prestata si rivela preziosa per quell’esercito di persone – tra reduci, fuggiaschi, gente senza più una casa, orfani – che non sa da dove ripartire. Comincia così un’altra storia.
ELIANA DI CARO Il Sole 24 Ore domenica 22 dicembre 2024
Roberta Cairoli, Roberta Fossati, Debora Migliucci
Vogliamo vivere!
Enciclopedia delle donne
Anno 2024
Pagg. 368
Prezzo € 20,00