LETTERE al Corriere della Sera 20 ottobre 2024
Caro Aldo, a proposito delle Cinque Giornate sto finendo di leggere un libro su Cristina di Belgiojoso, della quale si parla molto raramente. Ho scoperto una donna di straordinaria intelligenza e acume, oltre un grande spirito combattivo e amore per il nostro Paese. I suoi scritti sui vari avvenimenti (non solo a Milano ma anche a Venezia) e le sue analisi sono veramente eccezionali, ma purtroppo poco conosciuti. Marilena Dossena
Cara Marilena, Cristina Trivulzio di Belgiojoso diceva di sé: «Se fossi stata un uomo, avrei un monumento su ogni piazza d’Italia». Aveva ragione. È un personaggio da romanzo. Una donna che si è confrontata da pari a pari con le più brillanti intelligenze del suo secolo, l’Ottocento. Cristina ha ispirato le poesie di Heine, ha scritto lettere di presentazione per il viaggio in Italia di Balzac, ha ascoltato Liszt suonare per lei nel suo salotto, ha fatto innamorare De Musset, ha cucinato per Lafayette a Parigi, ha conversato di musica con Bellini, ha scritto lettere di conforto ai milanesi prigionieri degli austriaci nel tetro carcere dello Spielberg, si è fatta promettere dal futuro imperatore Napoleone III che si sarebbe impegnato per la causa dell’indipendenza italiana, ha finanziato Mazzini e ricamato le bandiere delle sue generose e fallimentari spedizioni, ha fondato un giornale patriottico e vi ha fatto scrivere Giuseppe Montanelli, ha ascoltato Chateaubriand leggere le sue Memorie d’oltretomba e le ha trovate noiosissime. E ha avuto una storia con George Sand, la scrittrice regolarmente vestita da uomo. Anche a Cristina accade di indossare abiti maschili: va nottetempo a ritirare un carico di armi per combattere gli austriaci, e come ricompensa chiede un fucile per sé. A sedici anni aveva sposato il principe di Belgiojoso, noto libertino. La prima notte di nozze le ha attaccato la sifilide, che l’ha perseguitata per tutta la vita. L’altro suo grande persecutore fu il principe Metternich, capo del governo imperiale asburgico. Per anni Cristina è scappata dagli austriaci, che le hanno confiscato il patrimonio: e la sua famiglia era la più ricca della Lombardia.
È stata l’eroina del nostro Risorgimento. Ha conquistato la Francia alla causa italiana. Quando Milano insorge, lei è a Napoli: parte subito in nave, pagando il viaggio a duecento volontari, salutati al porto da 10 mila napoletani festanti. Dopo la caduta di Milano, fugge a Roma: diventa amica di Garibaldi, organizza gli ospedali per i feriti. Goffredo Mameli, l’autore del nostro inno nazionale, spira tra le sue braccia. Quando la Repubblica romana cade, Cristina fugge. Delusa dalla Francia del suo amico Napoleone III, salpa su una nave per Malta, con l’unica figlia, Maria, di cui non si è mai saputo con certezza chi fosse il padre. Poi passa in Grecia, infine in Turchia, nella valle di Ciaq Maq Oglù, dove fonda un’azienda agricola con alcuni esuli italiani. Uno di loro, un bergamasco di nome Lorenzoni, tenta di sedurla; respinto, si vendica a coltellate. Cristina sopravvive. Nel 1855, grazie a un’amnistia, può tornare in patria, a Locate, dove organizza asili per bambini e ospedali per anziani. Poi compra una piccola villa dove si trasferisce con miss Parker, la governante inglese, e il fido servitore turco Budoz. Muore nel 1871, a 63 anni. Al suo funerale non partecipa nessuno dei politici dell’Italia che Cristina Trivulzio di Belgiojoso aveva contribuito a unire.
Nel 2021 a Milano lo scultore Giuseppe Bergomi le ha dedicato una statua in piazza Belgiojoso. Aldo Cazzullo