Pier Luigi Vercesi ricostruisce per Neri Pozza la parabola di una protagonista del Risorgimento
Giancristiano Desiderio Corriere della Sera 13 settembre 2021
I rapporti tra Cavour e Cristina di Belgioioso furono improntati prima alla burrasca e poi alla stima. Fu la principessa che mise sulla buona strada il conte quando, servendosi di Giuseppe Massari, gli fece sapere: «Riferisca a Cavour che può fare di me ciò che vuole e star certo ch’io non vado per ciò in collera con lui». Il modo di pensare la politica era nella Trivulzio tutt’altro che tempestoso e romantico. Facoltà di giudizio e quel tanto di visione che rende possibile non solo «vedere» ma anche «fare» il futuro erano sue doti che il grande liberale apprezzò. Cavour prese a frequentarla e quando si dimise da primo ministro in seguito all’armistizio di Villafranca con cui Napoleone III rinunciando al Veneto poneva fine alla guerra contro l’Austria, furono in molti a voltargli le spalle. Tra quei molti non c’era la Belgioioso che gli scrisse: «Se Dio vuole il vostro allontanamento non durerà a lungo. Quando avrete fatto l’Italia spetterà a voi ed a voi solo di farne uno Stato, una monarchia costituzionale ordinata, libera, civile e felice». Felicità a parte, sapete come andò a finire la storia.
Ci sono libri che si leggono per studio, altri per diletto e altri ancora per errore. Il libro di Pier Luigi Vercesi — La donna che decise il suo destino. Vita controcorrente di Cristina di Belgioioso (Neri Pozza) — racchiude tutt’e tre le categorie. Infatti, si può iniziare a leggere la più completa, ragionata e appassionata biografia della Belgioioso che sia mai stata scritta credendo di avere tra le mani uno di quei libercoli che guardano la storia dal buco della serratura, ma presto la lettura si rivelerà un errore. Tuttavia, il lettore non riuscirà a staccarsi dalle pagine preso com’è dal fascino della tanto bella quanto intelligente principessa e continuerà la lettura con gusto e con piacere. Così facendo giungerà a metà del libro e si renderà conto di trovarsi nel bel mezzo dello studio della storia risorgimentale e anche quando Vercesi gli dirà che il Risorgimento fu «un groviglio di vipere e di eroi» e la figura di Cristina di Belgioioso sembra fatta apposta per passare nella fantasia dei posteri nel classico ruolo femminile a metà tra l’alcova e la subordinazione, il lettore avrà capito che Pier Luigi Vercesi viene a capovolgere luoghi comuni e calunnie presentando l’opera di una donna che prese in mano vita e destino e attraversò dall’inizio alla fine la storia di quel «groviglio di vipere e di eroi» di cui essa stessa fu autrice e attrice, vipera ed eroina.
Cristina Trivulzio di Belgioioso nacque a Milano il 28 giugno 1808, nel pieno dell’età napoleonica, e la sua generazione è la stessa dei tre «maggiori»: Mazzini (1805), Garibaldi (1807), Cavour (1810). Il libro di Vercesi serve proprio a questo: a vedere come la vita della Belgioioso, così ricca di avventure e di sventure e piena di spostamenti e soggiorni da Milano a Genova a Roma a Napoli e, poi, a Parigi, fino in Anatolia e Gerusalemme per ritornare a Milano, non fu da meno delle vite di «avventure, di fede e di passione» — per dirla con Croce — dei tre «mostri sacri» del nostro Risorgimento. Sono così tanti gli uomini e le donne, i personaggi reali e perfino i personaggi letterari, che entrano nella vita di Cristina di Belgioioso che si rimane stupiti della sua capacità di relazioni che mandò fuori di testa il capo della polizia austriaca Torresani. Il poeta Heinrich Heine (non solo lui) ne era innamorato: «Era uno di quei visi che sembrano appartenere piuttosto al regno dei sogni poetici che alla rude realtà della vita», scrisse nelle Notti fiorentine. Ma la Belgioioso — ecco il punto che mette in luce Vercesi — appartenne «alla rude realtà della vita». E diede battaglia tanto sul piano della vita privata — sbagliò il matrimonio con il libertino Emilio Barbiano di Belgioioso — quanto sul piano della vita pubblica come riformatrice, repubblicana, scrittrice e, naturalmente, «giardiniera» ossia carbonara diventando, come dicevano gli umanisti di un tempo, artefice del proprio destino.
Cavour morì pochi mesi dopo aver compiuto il suo «capolavoro». La Belgioioso sopravvisse all’opera di Cavour e morì dieci anni dopo. Tra il 1868 e il 1869 apparvero le sue opere politiche: Osservazioni sullo stato attuale dell’Italia e sul suo avvenire; Sulla moderna politica internazionale. Senza retorica Cristina concludeva la sua vita onorando i grandi nomi che, come diceva Giovanni Spadolini, fecero l’Italia: con loro aveva discusso e, dice Vercesi, si era scornata ricevendo ingiurie «perché donna che voleva ragionare di argomenti che spettavano agli uomini».