“O mia patria sì bella e perduuta, o membraaanzaa sì cara e fatal!” Così cantava il pubblico dell’Opera di Roma il 12 marzo 2011 (vedi “la Repubblica” del giorno dopo) quando sotto la direzione di Riccardo Muti venne intonato il coro del Nabucco di Giuseppe Verdi. Dopo anni e anni in cui il Va’ pensiero veniva associato a immagini di caciaroni in camicia verde anelanti al federalismo, alla secessione, esprimendo disprezzo per chiunque fosse “meridionale”, per “Roma ladrona”, il pubblico romano che lo intonava era il segno che qualcosa nel Paese era cambiato.
Facciamo un passo indietro. L’Italia ufficiale non aveva granché voglia di celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia, il Comitato che si era insediato sotto la presidenza di Carlo Azelio Ciampi, era stato poi messo in condizione di non procedere in modo dignitoso, tanto è vero che Ciampi e altri dietro il suo esempio avevano dato le dimissioni. Dopo di lui Giuliano Amato si è arrangiato, ma onestamente i risultati sono stati modesti, solo Torino ha dato prova di organizzazione ed efficienza. È vero, non ci sono soldi, ma mettendo insieme le risorse umane e materiali che in questo Paese non mancano, qualcosa di più si poteva fare, anche solo coordinandole, senza dover rispondere a diktat culturali più o meno felpati.
Nonostante tutto questo, mentre Tremonti procedeva con tagli alla cultura, a Roma si cantava Va’ pensiero. Ma il bello venne cinque giorni dopo, quando si celebrò ufficialmente il 150° anniversario dell’unità. Chi se lo sarebbe aspettato? Finestre e balconi imbandierati come neppure quandola Nazionale vince i mondiali, vetrine addobbate coi colori della bandiera nazionale, gente che ha cantato l’Inno di Mameli nelle piazze durante le celebrazioni… Una sorpresa per molti, ma non per tutti.
Se prendiamola Toscanavediamo che già da qualche anno fra le persone di cultura più sensibili e aperte, con storie personali varie e diverse, si erano spontaneamente formati comitati con lo scopo di difendere e diffondere gli ideali risorgimentali, senza retorica, ma con la consapevolezza che la penisola italiana alla metà dell’Ottocento visse un periodo straordinario, durante il quale, come ad esempio hanno messo in luce i recenti studi di Salvo Mastellone, personaggi come Mazzini dialogavano e discutevano di democrazia a livello europeo con figure come Engels, i cartisti inglesi, e l’Italia disunita era un problema per le potenze europee come esuli e patrioti pieni di fervore e di spirito di iniziativa non mancavano di far conoscere all’opinione pubblica dei paesi più avanzati, senza dimenticare il ruolo di Cavour e del Piemonte sabaudo. Nessuno voleva fare il “santino” dello stato unitario, anzi c’erano la volontà e il desiderio di capire e far capire perché e come gli Italiani erano e sono un popolo. Così a Firenze, Prato, Livorno e in altri centri della Toscana, insieme ad altre istituzioni culturali, i comitati hanno fatto opera di divulgazione con cicli di conferenze, proiezioni cinematografiche, concerti di musiche risorgimentali, visite guidate su percorsi risorgimentali coinvolgendo le istituzioni locali e le scuole.
A Firenze il Comitato, presieduto da Adalberto Scarlino, opera dal 2009 e in questi due anni ha dato vita, in collaborazione con i Quartieri e il Comune, a manifestazioni di ogni tipo, sempre però sotto il segno di un impegno culturale di buon livello. Complessivamente i risultati sono stati più che soddisfacenti, alcune iniziative sono state ripetute per rispondere alle numerose richieste.
Anche a Pontassieve e nella provincia di Firenze si sono avute iniziative non solo il 17 marzo, ma anche dopo. A Pontassieve il 15 settembre scorso si è svolto un convegno, organizzato dal Comune e dall’Associazione “Colori del Levante Fiorentino”, su La pittura del Risorgimento in Toscana. I Macchiaioli, a cui ha partecipato in veste di relatore anche Sergio Casprini, vicepresidente del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.
Ma l’interesse per il ruolo di Firenze e della Toscana durante il Risorgimento non è stato solo di chi vive qui, anche dal Veneto e dal Piemonte sono venute rappresentanze di Comuni che avevano riscoperto il legame che ci unisce. Particolarmente commovente è stata la giornata del 24 settembre, quando da Cervarese S. Croce, in provincia di Padova, sono arrivate più di 200 persone col sindaco in fascia tricolore per commemorare una loro concittadina, Antonia Masanello, morta a Firenze nel 1862, che col marito aveva partecipato alla spedizione dei Mille. Sono venuti tanti giovani, tante associazioni, la banda che per tutto il giorno ha intonato musiche risorgimentali. Il corteo dei pullman ha intasato Via Bolognese per la cerimonia al cimitero di Trespiano, dove Antonia Masanello è sepolta nel quadrato garibaldino. E con quante bandiere tricolori sono venuti! Ogni gruppetto e associazione aveva la sua! E come i presenti hanno tenuto a far sapere che in Veneto non sono tutti leghisti che vogliono la secessione! E gli onori alla “Masanella” erano l’occasione per far sapere al mondo che, anche se le loro posizioni politiche non sono le nostre, non per questo non si sentono cittadini italiani come noi!
I convegni, le mostre, i concerti continuano, molte manifestazioni si svolgeranno ancora nelle prossime settimane con un affollamento che spesso diventa sovrapposizione. Si ha l’impressione che tutto questo sia accaduto e accada sotto la spinta di un interesse diffuso finalmente emerso e che sia mancata una cabina di regia, un coordinamento da parte delle istituzioni anche a livello locale. Si sapeva che l’Istituto Nazionale perla Storiadel Risorgimento doveva tenere il suo congresso nazionale a Firenze con seguito a Roma nel mese di ottobre, ma per il resto si è navigato a vista. In quale Paese del mondo occidentale sarebbe accaduto questo?
Prendiamo atto che questa spontaneità è il segno che la grave crisi economica e morale che attanaglia il nostro Paese può essere superata, che in giro c’è voglia di discutere e capire perché ci sentiamo italiani anche quando non ci sono gare sportive internazionali, quindi ora questo patrimonio ideale non può essere disperso. Il 150° anniversario non deve terminare il 31 dicembre, anche negli anni successivi si deve continuare a cercare le ragioni dell’unificazione, che non sono solo quelle di una coesione territoriale, senza eludere il discorso sulle pagine ignobili della nostra storia. È un invito alle forze politiche a fare tesoro di questo ricordando quanto – per dirla con Jurgen Habermas – l’uso, non l’abuso e la strumentalizzazione, della storia sia un valido fondamento del vivere civile. Dopo le celebrazioni, anche estemporanee, è il tempo della riflessione, non solo storiografica, e dell’azione: la situazione attuale del Paese ce lo impone.