Lettere a Sergio Romano Corriere della Sera 22 giugno
A proposito di prima guerra mondiale ho sentito una tesi secondo cui la guerra voluta dal governo Crispi nel 1911 per la conquista della Libia fu all’origine dello scoppio della Grande Guerra. Qual è il suo parere?
Cesare Scotti
Caro Scotti, Francesco Crispi era morto dieci anni prima ed era stato protagonista di un’altra politica africana: quella che voleva estendere all’intera Abissinia le ambizioni italiane nel Corno d’Africa. Il governo che dichiarò guerra alla Turchia e sbarcò un corpo di spedizione a Tripoli nel settembre del 1911, era presieduto da Giovanni Giolitti, un uomo politico che tre anni dopo sarebbe stato fieramente contrario alla prospettiva di un altro conflitto. Si era deciso ad agire per due ragioni: in primo luogo perché il Mediterraneo, dopo il successo della penetrazione francese in Marocco, stava diventando un condominio di Francia e Gran Bretagna; in secondo luogo perché voleva bilanciare le sue aperture a sinistra con un gesto che sarebbe piaciuto alla pubblica opinione nazionalista. La tesi secondo cui l’Italia, con quel conflitto, accese la lunga miccia della Prima guerra mondiale, è un vecchio adagio che ritorna periodicamente nel dibattito storiografico e contiene solo una minuscola parte di verità. Il Trattato di Ouchy, con cui la Turchia, nel 1912, perdette le Tripolitania e la Cirenaica, dimostrò che l’Impero ottomano era sempre meno capace di difendere i suoi territori extra-asiatici. Il segnale fu colto immediatamente da due Paesi balcanici, Serbia e Bulgaria, che si detestavano, ma erano pronti a cogliere l’occasione per dividersi la Macedonia, allora provincia dell’Impero ottomano. Nacque così una Lega balcanica, composta da Serbia, Bulgaria, Grecia e Montenegro, che riuscì in pochi mesi a cacciare i turchi da buona parte dei loro possedimenti europei. L’Europa stette a guardare con un certa simpatia, ma scoprì rapidamente che le piccole potenze cristiane della penisola formavano una delle coalizioni più litigiose della storia militare europea. Era appena finita la prima guerra balcanica e già cominciava la seconda. La Bulgaria attaccò la Serbia e la Grecia, ma fu a sua volta attaccata dalla Romania e perdette tutte le terre conquistate. La Turchia corresse solo marginalmente i risultati della guerra precedente e il suo territorio europeo si ridusse a una parte di Costantinopoli e alla zona di Adrianopoli. Una commissione composta da personalità internazionali, inviata nei Balcani dalla Carnegie Foundation of International Peace (una grande organizzazione umanitaria americana), pubblicò nel 1914 un rapporto sui crimini di guerra commessi in quella occasione che è ancora oggi la più profetica delle introduzioni agli orrori del Ventesimo secolo. Per tutti i Paesi della penisola balcanica e per la Turchia, la Grande guerra fu il seguito delle due guerre precedenti; un’occasione per regolare i conti in sospeso o riprendere le terre perdute. Per Vienna fu una occasione per impedire che la Serbia divenisse una minaccia alla presenza dell’Austria Ungheria nella regione. Tirare in ballo le responsabilità italiane, a questo punto, è alquanto stiracchiato
Sergio Romano