Bisogna chiedersi se il nostro sistema educativo non sia diventato, per una parte non piccola, un sistema (dis)educativo, un sistema che produce ignoranza anziché istruzione
Angelo Panebianco Corriere della Sera 24 gennaio 2018
Davvero si poteva seriamente pensare che decenni di incuria, di disinteresse per la scuola, per i processi educativi, non avrebbero avuto delle conseguenze, non avrebbero danneggiato la qualità della nostra democrazia? Chi si lamenta per la grande quantità di promesse insensate fatte dai politici in questa colorita campagna elettorale oppure per la quotidiana alluvione di notizie false in Rete, deve chiedersi come mai il pubblico sia diventato così credulone. Perché tanti furbacchioni pensano che sia facilissimo imbrogliarlo?
Per capirlo bisogna guardare a ciò di cui quasi tutti, da sempre, si disinteressano: la scuola e quanto accade in essa. Bisogna chiedersi se il nostro sistema educativo non sia diventato, per una parte non piccola, un sistema (dis)educativo, un sistema che produce ignoranza anziché istruzione, incultura anziché cultura.
Bisogna chiedersi se a fare la differenza fra la democrazia italiana e quelle francese e tedesca siano davvero, come molti pensano, le istituzioni politiche (solide in Germania e Francia, fragili in Italia) o non sia invece, soprattutto, la differente qualità dei rispettivi sistemi di istruzione. Pur fra mille problemi (a cominciare da quelli legati all’immigrazione) in quei Paesi l’istruzione è rimasta comunque una cosa seria, da trattare con rigore e con riguardo. Niente a che vedere con quanto da molti decenni fanno (complici , però, gli italiani) i governi nel nostro Paese: la scuola ridotta a centro di assorbimento di occupazione giovanile, senza alcun interesse per la qualità dell’insegnamento. Mentre genitori e studenti (ossia i clienti della suddetta scuola) venivano, e vengono, tacitati e «pagati» con diplomi dotati di valore legale.
Nella scuola italiana ci sono due categorie di insegnanti. La prima è composta da persone di qualità, che si dedicano con passione e sacrifici all’insegnamento (e fortunati gli studenti che li incontrano) . Sono insegnanti che remano contro, refrattari allo spirito del tempo, che cercano , fra mille difficoltà, di dare davvero istruzione ai ragazzi di cui sono responsabili. Ma ci sono purtroppo anche gli altri, ci sono presidi (non tutti , naturalmente) che non vogliono bocciature per timore dei ricorsi ai Tar, e insegnanti rassegnati (o anche semplicemente incapaci) che seguono la corrente: la tacita e generale richiesta è che si promuovano gli impreparati? Che problema c’è? Li promuoviamo e basta.
E’ interessante il fatto che nel Paese ove i diplomi hanno valore legale e dove , per di più, vige l ‘obbligatorietà dell’azione penale , presidi e insegnanti di certi istituti superiori noti per il fatto di dare voti altissimi a tutti non siano mai stati perseguiti (e nemmeno indagati) per falso ideologico e truffa. Ed è significativo che la classe politica, da decenni, non riesca a esprimere un vero ministro della pubblica istruzione. Un vero ministro, infatti, si preoccuperebbe di capire il perché di tanto lassismo e proporrebbe rimedi. Al di là di quale soglia una massa di diplomati , ma ormai da un pezzo anche laureati, senza qualità e senza vera istruzione, comincia a esercitare effetti negativi sulla sfera pubblica? Forse quella soglia è stata superata.
Non si fraintenda, questa non è una lamentazione per il fatto che ad avere voce in capitolo sulla cosa pubblica non siano soltanto i più istruiti, «color che sanno». Per niente. Costoro in varie occasioni si sono dimostrati non meno ottusi di altri. Chi scrive non ha mai condiviso la tesi di Umberto Eco secondo cui uno che legge libri, per definizione, ne vale due che non lo fanno.
Niente , inoltre, ha forse danneggiato di più la causa della libertà in Occidente che la «politica degli intellettuali», quasi sempre oscillante fra velleitarismo ,disinformazione, e disponibilità a legarsi al carro di partiti illiberali.
Qui il problema è un altro. Che cosa ha reso possibile, ad esempio, la diffusione di tante insensatezze sui vaccini, i grandi ascolti di cui ha goduto la campagna no-vax? E ancora: a quale segmento di pubblico si rivolgono coloro che sono impegnati — come ha notato il presidente della Accademia della Crusca Claudio Marazzini (La Stampa, 21 gennaio) — in una guerra senza quartiere contro la lingua italiana, e contro la «casta» composta da coloro che ne sanno fare un uso corretto?
Le gradazioni sono pressoché infinite ma possiamo dire , semplificando, che ci sono tre tipi di cittadini. Il primo è dotato di una istruzione superiore formale ma dispone anche di una , più o meno ragguardevole, ma comunque autentica , cultura , letteraria o scientifica che sia. Il secondo è privo di istruzione superiore ma è anch’egli colto: dispone di un «sapere pratico», di una intelligenza delle cose, che lo qualificano come una persona competente e capace nel suo lavoro (quale che esso sia) e degno di essere ascoltato per tutto ciò di cui ha esperienza e conoscenza. Il terzo tipo, infine, è il prodotto della decadenza dei sistemi educativi: dispone di titoli di istruzione superiore (diploma o laurea) ma a quei titoli non corrispondono conoscenze e competenze. In compenso, possiede l’arroganza di chi crede che basti il possesso di un diploma per attestare le suddette conoscenze e competenze. E’ la presenza di questo terzo tipo la causa principale del deterioramento (oltre che delle varie professioni) anche della sfera pubblica, della democrazia. Circola un fotomontaggio ispirato al film Guerre Stellari: un candidato-premier con la spada-laser in mano grida: «Che la forza sarebbe con voi». La battuta è fiacca. La fantasia non riesce a tener dietro alla realtà.