La tomba di Dante a Ravenna
LETTERE AL CORRIERE DELLA SERA
23 dicembre 2022
Caro Aldo, mi chiedo come mai Firenze e i fiorentini non rivendichino il diritto e non avvertano il dovere di reclamare le ceneri di Dante. Sarebbe, a mio parere, il reclamo dei reclami e la traslazione delle traslazioni. Ravenna permettendo, Firenze avrebbe una ragione in più (e che ragione!) di attirare orde di visitatori. Non quelli con la consueta bottiglietta di minerale in mano, bensì quelli con la Divina Commedia in mano. Mansueto Piasini
Caro Mansueto, Io invece trovo giusto che Dante riposi a Ravenna, dove fu accolto e dove morì. A Firenze tutto parla di lui; non serve aggiungere un sarcofago per alimentarne la memoria. Tutti giustamente collegano Dante alla sua città, da cui trasse la lingua viva che parliamo ancora adesso. Ma Dante è anche il grande poeta della nazione italiana. Per lui l’Italia non era uno Stato (credeva nell’Impero, l’Europa di allora); era un patrimonio di idee, valori, bellezza, cultura. Dante ha vissuto a lungo in Romagna, e l’ha amata.
E la Divina Commedia è anche un viaggio in Italia. Dante descrive posti che conosce bene, come la Romagna: c’è un dannato, Guido da Montefeltro, che gli chiede notizie della Romagna, e Dante gli fa una rassegna delle città romagnole, Ravenna, Rimini, Cervia, Forlì, Faenza, Cesena, Imola, che comincia così: «Ravenna sta come sta è molt’anni»; a Ravenna non cambia mai nulla. Ma Dante descrive con altrettanta maestria anche posti in cui non è mai stato. Come la Sicilia, che ama perché è la terra della poesia, della scuola siciliana: la chiama la bella Trinacria, descrive l’Etna — lo chiama Mongibello, con il nome arabo con cui ancora adesso lo chiamano i siciliani —, e lo stretto di Messina, Scilla e Cariddi. Dante traccia proprio i confini d’Italia. Lo fa nel decimo canto, quello di Farinata degli Uberti. Qui sono puniti gli eretici, chiusi dentro sepolcri. Per dare un’idea del paesaggio infernale, Dante lo paragona a due sepolcreti. Uno ad Arles, in Provenza, ai confini occidentali dell’Italia, sorto secondo la leggenda in una notte per dare sepoltura ai cavalieri cristiani caduti combattendo contro gli infedeli.
L’altro a Pola, nel golfo del Quarnaro, «che Italia chiude e i suoi termini», i suoi confini, «bagna». Questo è un verso citato da generazioni di irredentisti: trentini, triestini, giuliani, istriani, dalmati, che erano sudditi austriaci ma italiani di lingua e di cuore, e si battevano per innalzare statue a Dante, e per aprire scuole italiane da intitolare a Dante. Aldo Cazzullo
IL cenotafio di Dante a Santa Croce a Firenze