«Non merita i fichi secchi». Nell’archivio Imi ritrovate le lettere del leader federalista al presidente dell’ Abi, Stefano Siglienti
Nicola Saldutti Corriere della Sera 27 luglio 2020
Sono documenti, tasselli di una storia che ha portato fino all’Europa che siamo (e che non siamo ancora). Lettere, l’appello con le firme che ricordano la nostra storia, Benedetto Croce, Carlo Levi, Maria Montessori, Donato Menichella, Alberto Moravia, Adriano Olivetti, Ferruccio Parri, Gaetano Salvemini, Ignazio Silone, Altiero Spinelli, Luigi Sturzo… Tutto settant’anni fa, quando la Comunità europea del carbone e dell’acciaio non era ancora nata, con lo scambio carbone-energia-uomini-miniere. Ed Ernesto Rossi, vissuto al confino perché condannato da un tribunale fascista, è l’instancabile promotore del Movimento federalista europeo. Il grande sogno della federazione tra gli Stati.
Scrive a Stefano Siglienti, che in quel momento è presidente dell’Istituto mobiliare italiano e presidente dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana.
Stefano Siglienti e la moglie Ines
Chiede, Rossi, che il banchiere, liberato solo sei anni prima rocambolescamente dalla prigione di Regina Coeli per il coraggioso intervento della moglie Ines Berlinguer, aderisca a quel progetto. Lo appoggi. Sia tra i firmatari. È l’Italia che ancora ha tutte le ferite della guerra e l’Imi sta gestendo i fondi del piano Marshall per la ricostruzione. Ma Rossi guarda più lontano: è necessario prendere ogni iniziativa per mobilitare l’opinione pubblica, renderla europea quando molti dei Paesi che poi nel marzo del 1957 daranno vita alla Comunità economica europea, si sentono ancora degli ex nemici. E il banchiere, come si può leggere nei documenti estratti dall’archivio storico dell’Imi, un patrimonio di 5 chilometri lineari di documenti, pratiche (anche quelle respinte), missive, risponde sì: un contributo di un milione di lire per l’Europa. Per le iniziative che Rossi intende attivare per mobilitare l’opinione pubblica.
Con una delibera del 20 marzo 1950 l’Imi rende disponibile un altro milione di lire. «I rapporti tra Siglienti e Rossi risalgono a Giustizia e Libertà e poi al Partito d’Azione. Entrambi nel ’43, anche se in tempi diversi, sono in carcere per la loro militanza antifascista. La vocazione europeista di Rossi, che individua nell’Europa l’unica possibilità per l’Italia di uscire dalla guerra. Ma questo progetto deve essere perseguito su due livelli: coinvolgere le personalità del tempo ma soprattutto i cittadini, l’opinione pubblica. Una pratica che abbiamo ritrovato nell’archivio Imi che racconta un pezzo della nostra storia europea», spiega Barbara Costa, responsabile dell’Archivio storico Intesa Sanpaolo.
Da quelle macerie può nascere un progetto. Ecco l’appello di Rossi: «Per sommuovere veramente l’opinione pubblica in tutto il Paese con la campagna ora progettata, occorrono, però, mezzi molto superiori a quelli di cui il Mfe (Movimento federalista europeo, ndr) può disporre, anche se richiede un contributo straordinario a tutti i suoi aderenti ed amici. Il successo dell’iniziativa in gran parte dipenderà dell’entità dei fondi che potranno essere dedicati all’organizzazione centrale, ai viaggi di collegamento all’estero, alla preparazione e all’affissione dei manifesti, alla stampa delle schede, alle manifestazioni nei pubblici locali, alla posta, ecc.». Un’Europa di coinvolgimento, dunque.
La lettera di Siglienti con la donazione di un milione di lire porta la data dell’8 marzo 1950. Poche righe con la notizia del vaglia presso la Banca d’Italia. Rossi ringrazia anche a nome di altri esponenti del Movimento federalista: «Ormai siamo in ballo e bisogna ballare. Non si può fare le nozze con i fichi secchi. Dobbiamo assumere personale, ordinare manifesti, schede, cortometraggio, volantini, e non abbiamo ancora in cassa neppure i fondi sufficienti per organizzare una fiera di beneficienza. Promesse molte e quattrini pochissimi. (…) È inutile avere delle buone idee, se non ci sono i mezzi per realizzarle. Siamo già in ritardo, in gravissimo ritardo, dato che la campagna deve avere inizio ai primi di aprile…». C’è tutta la sua energia, in queste parole.
«Si percepisce la consapevolezza che quelli siano tempi maturi per spingere l’idea di Europa, per renderla condivisa dai cittadini. In qualche modo Rossi chiama a raccolta le figure di spicco della società politica e civile italiana e allo stesso tempo si rivolge alla popolazione», sottolinea Costa. Siglienti scrive al Credito Italiano: «Questa organizzazione, considerato l’elevato scopo e la portata storica del Movimento — che è al di sopra di ogni particolarismo politico — ed in presenza delle vive sollecitazioni che le vengono rivolte, ritiene doveroso sottoporre all’esame di codesto Istituto l’opportunità di accogliere l’appello che per il tramite della scrivente viene rivolto». Si fa lui stesso portavoce. Il comitato d’onore dell’Mfe, composto da 36 personalità, è una specie di antologia della storia recente, da Luigi Einaudi, don Luigi Sturzo, Gaetano Salvemini.
Siamo nel 1951, anno decisivo nel quale si discute della difesa europea. Rossi insiste e scrive ancora a Siglienti. È il 5 novembre: «Carissimo Stefano ti invito a sostenere la propaganda federalista nell’anno prossimo, che dovrebbe essere l’anno decisivo per la costituente europea». Un’energia alla quale si fa fatica a dire di no: «Fai di tutto per venirci in aiuto; se non puoi sottoscrivere tu personalmente, guarda di far sottoscrivere l’impegno a persone che sono nella cerchia delle tue conoscenze». Energia che anche la moglie, Ada, qualche anno dopo rivolgerà a Siglienti per finanziare una grande mostra su Gaetano Salvemini. A Firenze. È il 1969.
Firenze 1923: da sinistra Gaetano Salvemini, Marion Cave con il marito Carlo Rosselli. Il penultimo a destra è Ernesto Rossi.