… La nostra è un’Europa sì portatrice di valori fondamentali, ma anche un’Europa che ha perso la sua anima per strada, che fa fatica a spiegare non solo agli altri, ma anche a se stessa le sue ragioni…
Lucrezia Reichlin Corriere della Sera 25 giugno
In un libro uscito recentemente Italia. L’invenzione della Patria il docente universitario di letteratura italiana Fabio Finotti ci conduce attraverso i diversi significati che l’idea di Patria ha avuto nei secoli in’Italia. Dall’idea di Virgilio che vedeva la Patria come qualcosa da costruire (invece che un dato naturale), all’idea di impero come somma di diversità di Carlo Magno, passando per l’idea romantica di Foscolo e Manzoni e la retorica del fascismo, fino alla nostalgia degli espatriati di Little Italy, questo libro ci ricorda che l’Italia è il frutto di una straordinaria e mutevole invenzione culturale. Un invenzione però che nei secoli è diventata realtà storica in un processo secolare, di guerre e conflitti sociali, dagli anni del Risorgimento fino alla Resistenza. E da allora l’ Unità del nostro Paese e la sua identità nazionale non sono state mai messe in discussione e quando 70 anni fa in Italia fu fatto il referendum su monarchia o repubblica con una votazione fino all’ultimo voto incerta, nonostante che dopo l’8 settembre l’idea di Patria fosse entrata in crisi, nessuno mise in dubbio che l’esito del referendum avrebbe potuto pregiudicare il destino della nazione.
Anche l’Europa come istituzione sovrazionale è stata un’invenzione culturale, di uomini generosi ed idealisti come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi con il manifesto di Ventotene ed ancor prima nell’Ottocento come Giuseppe Mazzini con La Giovane Europa, i quali auspicavano un Europa pacificata ed unita dopo le tragedie di guerre nazionalistiche e di conflitti sociali e razziali. Ma in questo caso dietro le idealità ed i valori c’è stata solo la volontà dei singoli governi nazionali a costruire un processo di formazione unitaria sovranazionale, non una mobilitazione di forze politiche e di ceti sociali a dare corpo, identità ed anima a questo nuova istituzione comunitaria.
Infatti oggi esiste sopratutto l’Europa dell’economia e della finanza, di elites tecnocratiche e delle banche, senza che esista l’Europa della politica – estera, in particolare -, della difesa (non c’è esercito comune) e della cultura (non si è riusciti a mettere insieme una Carta costituzionale che fissasse gli elementi chiave di questa costruzione e la conferma ne fu il flop della mancata ratifica da parte della Francia e dell’Olanda nel 2005). Ed infatti l’Europa si occupa della misura delle vongole che possono essere pescate e non riesce a prendere decisioni comuni sui migranti o sulla Siria e la Libia!
Dov’è quindi un’anima ed un sentimento condiviso di appartenenza ad un’unione comunitaria?
Di certo, l’eredità greca e romana, il Cristianesimo e l’illuminismo, la travagliata storia della resistenza ai totalitarismi novecenteschi ci hanno lasciato alcuni contenuti come la pace, la giustizia sociale, la libertà di pensiero, di espressione, di associazione, di partecipazione democratica. E d’altronde non si può tornare alle ideologie nazionalistiche dell’Ottocento ed alla politica delle cannoniere!. La perdita della sovranità nazionale è accettabile se, e solo se, è fatta in nome di un’istituzione più capace di garantire la sicurezza e il benessere di ciascuno e, soprattutto, più rispettosa e rappresentativa delle culture e delle tradizioni locali di quanto non lo siano gli stati nazionali. Un’Europa dei popoli, piena di ideali di libertà, di rispetto della vita e della giustizia sociale, amante e valorizzatrice delle differenze e delle peculiarità culturali ed economiche di ogni nazione sarebbe una possibile soluzione per uscire dall’impasse in cui si trova oggi l’Unione europea dopo Brexit.
L’americano Joseph Halevi Horowitz Weiler, giurista e docente universitario, rettore dell’Istituto universitario europeo con sede a Firenze, da tempo propone per esempio che l’Unione europea debba essere un sistema fondato su stabili relazioni tra distinti, tra Stati nazionali ciascuno forte di una sua identità, tra popoli ciascuno ricco delle sue culture.
Brexit deve essere giudicato allora non come la catastrofe di un processo storico unitario ma come un episodio, certamente da non sottovalutare, su cui riflettere per far ripartire un percorso di rinascita di un’altra idea d’Europa e di formazione di una reale identità ed anima comunitaria!