Giovanni Belardelli Corriere della Sera 12 maggio
Dovrebbe essere ormai evidente che la democrazia diretta praticata dal Movimento Cinque Stelle ha ben poco di democratico: perché la decisione ultima spetta sempre a Beppe Grillo, come si è visto nel caso della candidata a sindaco di Genova, ma anche perché la piattaforma «Rousseau», nonostante si richiami al massimo teorico di una democrazia esercitata direttamente dai cittadini, è controllata da una società privata come la Casaleggio e associati. Eppure, in tempi di dilagante ostilità per i politici di professione e di generale disaffezione per il sistema rappresentativo, la democrazia diretta in quanto tale continua a godere di un pregiudizio favorevole. Jean-Jacques Rousseau, che pure la considerava l’unica vera forma di democrazia («nel momento in cui un popolo si dà dei rappresentanti, non è più libero; esso non esiste più»), aveva dovuto ammettere con rammarico che, data la dimensione dei grandi Stati moderni, la democrazia diretta era di fatto impossibile. Oggi però il web, collegando tutti i cittadini di un Paese in una grande agorà virtuale in cui ciascuno, volendo, può votare su ogni proposta, consentirebbe di superare l’ostacolo. E non appare inverosimile immaginare regole e meccanismi di organizzazione del voto online che, a differenza di quel che accade per la piattaforma dei Cinque Stelle, siano pubblici e trasparenti. Ma una volta assodato questo — che cioè, duemila e cinquecento anni dopo l’Atene di Pericle, la democrazia diretta è di nuovo diventata possibile — dobbiamo chiederci se rappresenta anche una soluzione augurabile. La risposta non può che essere negativa.
Il primo, e più evidente, motivo è anche l’unico che di solito viene evocato: vale a dire la quantità e complessità delle decisioni che un governo si trova a prendere, decisioni che non si vede come possano essere affrontate da cittadini privi di cognizioni adeguate. È un’obiezione assai rilevante, anche se probabilmente molti non la riterrebbero decisiva vista la scarsa qualità della nostra classe politica. Di certo non è però l’unica possibile. Un’altra obiezione è stata formulata di recente dal politologo francese Bernard Manin (sul numero del dicembre scorso della «Rivista di Politica»), il quale ha osservato che la democrazia rappresentativa ha una netta superiorità sulla democrazia diretta in termini di uguaglianza nella partecipazione. Non tutti siamo disposti a dedicare lo stesso tempo alla partecipazione politica; o, semplicemente, non tutti possiamo permettercelo viste le nostre abituali occupazioni. Una continua interrogazione della volontà popolare attraverso il web premierebbe dunque i militanti e gli attivisti, osserva Manin, a scapito della maggioranza dei cittadini.
La democrazia diretta si reggerebbe insomma su dei cittadini che sono «più uguali» degli altri. Questo, si noti, è ciò che già avviene all’interno del Movimento Cinque Stelle, dove le decisioni sono spesso il frutto di un numero di voti davvero risibile (a Verona al candidato sindaco ne sono stati sufficienti 85 per essere scelto). Ma c’è dell’altro. Mentre sul web il cittadino votante può solo esprimersi attraverso un sì o un no, approvando o respingendo in blocco una proposta, in un’assemblea rappresentativa si deve provare a convincere chi non è d’accordo, si deve tener conto delle argomentazioni degli avversari, a volte accogliendone qualcuna. Insomma, in una democrazia rappresentativa la decisione è il frutto della discussione e del confronto. Si dirà che questo dovrebbe avvenire in teoria ma in pratica le cose vanno diversamente. Non è del tutto vero. L’approvazione di emendamenti a una legge, la convergenza dei voti di un partito di opposizione su una proposta del governo sono prassi costante in qualunque Parlamento democratico. La democrazia rappresentativa obbliga al confronto (non necessariamente all’accordo, ovviamente) e rende possibile il compromesso. La democrazia diretta annunciata dal Movimento Cinque Stelle favorisce invece il muro contro muro, l’irrigidimento di posizioni. È sempre un gioco a somma zero in cui o si vince o si perde. Ce ne è abbastanza, direi, per considerare la democrazia diretta, proprio oggi che potrebbe diventare realmente possibile grazie al web, come una prospettiva da cui rifuggire.