Olga Brandonisio Il Foglio Quotidiano 19 giugno 2020
Chi scrive non sa di musica, se non quanto gli insegna il cuore, o poco più; ma nato in Italia, ove […] l’armonia s’insinua nell’anima colla prima canzone che le madri cantano alla culla dei figli, egli sente il suo diritto, e scrive senza studio, come il core gli detta”. Eppure, Giuseppe Mazzini ne sapeva eccome di musica: egli era un ottimo dilettante, buon suonatore di chitarra ed eccellente cantante, dice di lui Claudio Strinati nella notevole introduzione a “Filosofia della Musica” per La Lepre Edizioni.
Poche pagine scritte nel 1836, neppure una cinquantina, in cui il nostro dilettante suonatore esprime tutta la passione e lo scoramento nei confronti di quell’arte che, seppure immortale, necessita di progresso poiché la musica “non move a cerchio, ma va innanzi d’epoca in epoca”. Mazzini, con brillante perizia, ritrae l’involuzione delle nuove generazioni – del secolo XIX – che scelgono passivamente l’imitazione dei grandi musicisti del passato, apprezzabili certo, ma non memorabili di nuove idee.
Il caso che più angustia il fondatore della Giovine Italia è la riduzione della musica da lingua universale della nazione a mera distrazione, “affogando la melodia sotto un trambusto indefinibile di strumenti”, e riuscendo a “promuovere il riso e il pianto senza che né l’uno né l’altro abbiano tempo di giungere sino al fondo dell’anima”. La musica che sfiora e accenna è la tragedia dell’uomo e dell’umanità, del pensiero individuale e del pensiero sociale. L’unico che, secondo Mazzini, ha salvato la musica è Rossini, che “ha sancito l’indipendenza musicale”, riconsacrando e restaurando le caratteristiche antiche della scuola italiana. E ancora, sulle note del terzo atto dell’Otello, “diresti le melodie rossiniane scolpite a bassorilievo […] è musica senz’ombra, senza misteri, senza crepuscolo”.
Ebbene, l’umana potenza è l’elemento mancante nell’ottocentesca musica europea, dove nemmeno il coro, “individualità collettiva”, riesce a infondere i molteplici aspetti dell’umanità, dacché “appare di tempo in tempo più come occasione di sollievo a’ primi cantanti, che come elemento filosoficamente, e musicalmente distinto”. L’utopia mazziniana è nella devota unione di poesia e musica, creatori di un santuario con un’unica intenzione sociale.
Il tormentato e giovane animo di Giuseppe Mazzini, deluso dal nuovo re Carlo Alberto e in continua ricerca di nuove prospettive di azione e pensiero, si riversa piacevolmente in questo piccolo scritto, promotore di non trascurabili riflessioni rispetto a questa nostra epoca a cui “spetta al genio indovinare e rivelarne il segreto”.
Giuseppe Mazzini
FILOSOFIA DELLA MUSICA
La Lepre Edizioni, 160 pp., 13,30 euro