Progetti falliti e illusioni tramontate sotto la lente dell’editorialista del «Corriere» che mette a fuoco problemi irrisolti della vita nazionale in una raccolta di saggi
Michele Salvati Corriere della Sera 8 marzo
L’ultimo libro di Ernesto Galli della Loggia si intitola Speranze d’Italia, come quello scritto nel 1844 da Cesare Balbo, torinese, patriota e politico liberale che morì prima di vedere le sue speranze in parte realizzate.
L’identità del titolo è intenzionale, ci dice Galli della Loggia, «è una scelta che allude alla necessità, oggi come un tempo, di ridisegnare un domani per il Paese». Peccato che i saggi raccolti in questo libro di speranze ne lascino assai poche. Sono sedici scritti già pubblicati tra il 1980 e il 2010 (il grosso negli anni Novanta) e gli unici due inediti riguardano vecchie vicende. E così anche i due scritti dopo il 2000: l’esperienza della cosiddetta «Seconda Repubblica» è largamente fuori dal raggio di interesse della raccolta. Perché questa scelta? La «speranza» non deve forse agganciarsi alla situazione attuale del nostro Paese? Un Paese senza un progetto condiviso, che le recenti elezioni consegnano alla confusione e all’incertezza.
Galli della Loggia poteva forse aggiungere altri saggi — e molti editoriali che ha scritto per il «Corriere della Sera» — i quali testimoniano il suo interesse per le vicende politiche e ideologiche a noi più vicine: quelli che di recente ha ripubblicato con Marsilio, nel volume Il tramonto di una nazione, non mi sembra lascino aperte grandi speranze per il futuro. Non l’ha fatto in questo libro — sottopongo all’autore la mia interpretazione — perché probabilmente egli considera conclusa la fase di ricerca storica di cui i saggi ripresentati in Speranze d’Italia disegnano il decorso.
Traggo questo giudizio dalla stessa introduzione al volume. Una introduzione relativamente breve, in cui Galli della Loggia non aggiunge altri materiali interpretativi, ma si limita a una sintesi delle principali conclusioni a cui i diversi saggi pervengono. E però, con molte cautele, avanza una pretesa di originalità — specie per il passaggio dalla ricerca a una diffusione ideologica più ampia — piuttosto chiara. Afferma infatti: «Gli scritti presenti nel libro rappresentano una prima messa a fuoco dei temi indicati» (sono quelli di cui i singoli saggi trattano: «Il Risorgimento e dopo: il ruolo negativo dello scontro tra liberalismo e cattolicesimo»; «Una Resistenza tradita?»; «Patologie italiane: il fascismo sempre in agguato e l’antifascismo perenne»; «Perché fu sconfitta la cultura liberal-democratica in Italia»; «L’azionismo immaginario, ovvero il partito democratico mancato»…). E aggiunge: «Ma pur con tale riserva mi sembra che nel loro insieme essi disegnino in modo abbastanza compiuto un primo abbozzo di quella visione del nostro Paese di cui abbiamo bisogno»
Se questa pretesa sia sostenibile lo diranno gli storici. Come economista — da molto tempo convinto che lo sviluppo economico non si possa spiegare senza un’analisi comparata delle istituzioni e delle idee politiche dominanti — posso solo ricordare con piacere la ventata di novità che colpì il «Corriere della Sera», ancora immerso nella visione storica di Giovanni Spadolini, con l’arrivo alla direzione di Paolo Mieli, allievo di Renzo De Felice, e con lui di Galli della Loggia, anch’egli influenzato dalla grande opera sul fascismo. E più tardi si unirà a loro Pierluigi Battista. Colpivano la sicurezza e il coraggio delle loro analisi, la mancanza di esitazione nell’attaccare mostri sacri per la vulgata di sinistra come Piero Gobetti, Antonio Gramsci e Norberto Bobbio. Tutti caratteri che il lettore ritrova nei saggi raccolti in questo libro, in modo più disteso e argomentato.
Se però sono credibili le dissacrazioni delle principali ideologie del Novecento (di tutte, e in particolare di quella che Galli della Loggia chiama «l’ideologia italiana»: il saggio su Alfredo Oriani, un autore oggi dimenticato di cui sia Gramsci che Gobetti avevano stima, è a mio giudizio il più bello di tutto il libro), si pone un problema: dove appoggiarsi per nutrire qualche speranza per il futuro? Quale visione, attraente per i comuni cittadini, ma sostenuta anche dai ceti dirigenti e compatibile con i caratteri attuali del capitalismo, ha in mente Galli della Loggia per giustificare il titolo del suo libro?
Non erano solo le parrocchie e la Chiesa, salvo per i primi anni del dopoguerra, a sostenere il grande consenso alla Democrazia cristiana, ma il travolgente sviluppo economico che ne seguì e l’avversione degli italiani per cambiamenti radicali. Poi la storia del nostro Paese, con tutte le sue peculiarità ideologiche, entra nel solco della grande storia europea e internazionale, che ne scandisce i ritmi e ne determina i possibili sviluppi: le peculiarità ideologiche italiane — quelle di cui tratta Galli della Loggia — sono soprattutto importanti per comprendere occasioni di sviluppo e modernizzazione che l’Italia non colse e stanno alla radice dell’attuale ristagno. Di esse ho fatto di recente un breve riassunto in un commento incluso nell’ultimo «Annale» della Fondazione Feltrinelli (L’approdo mancato, a cura di Franco Amatori) e a questo devo rinviare, sottolineando che una vera storia è fatta certamente da idee e ideologie, ma mischiate sapientemente con i fatti — economici, sociali, politici e istituzionali — che vi devono aggiungere una dose sufficiente di credibilità ed efficacia mobilitante.
Oggi, in parte anche per effetto dell’attacco dissacratore di Galli della Loggia, le mistificazioni sulle quali quelle ideologie si reggevano sono state svelate ed esse sono morte. Che cosa le ha sostituite? L’abbiamo visto nella campagna elettorale che si è appena conclusa: il grido qualunquista di «onestà, onestà» dei Cinque Stelle? Il rozzo appello xenofobo della Lega? Il semplice richiamo alla competenza e a un’Unione Europea sempre in crisi?
Insomma, verrebbe quasi da rimpiangere le vecchie ideologie e le false interpretazioni della storia italiana che Galli della Loggia critica in questo libro. Criticarle è stato però un passo importante e meritorio, preliminare a quello di fondare la speranza su basi nuove.