Dalla rubrica La lettere a Sergio Romano , Corriere della Sera, Sabato 7 gennaio 2012
Nel rileggere alcuni testi sul Risorgimento, mi sono imbattuto nell’episodio dell’Aspromonte. Lo ricordavo poco chiaro, ma speravo che studi più recenti potessero averlo reso più comprensibile. Invece le spiegazioni non sono cambiate: Giuseppe Garibaldi partì dalla Sicilia con l’obiettivo di arrivare fino a Roma! Ora, Garibaldi non era certamente uno sprovveduto e non poteva veramente pensare di raggiungere questo obiettivo senza alcun appoggio, con i francesi pronti a difendere il Papa con le armi e con i soldati di mezzo esercito italiano dislocati nel sud del Paese per tentare di reprimere il brigantaggio.
Franco Bordogna
Caro Bordogna,
Garibaldi fu audace, generoso, intelligente, capace di prendere all’occorrenza decisioni oculate e assennate. Ma temo che lei non dia sufficiente peso allo stato d’animo di un uomo che fu, soprattutto dopo la spedizione di Sicilia, oggetto di uno straordinario culto e di grandi aspettative.
In una biografia pubblicata da Laterza nel 2011 e diffusa in allegato al Corriere della Sera nel 2005, Alfonso Scirocco ha descritto la nuova casa di Caprera, dove Garibaldi si ritirò dopo l’incontro di Teano. Era colma di regali, inviati dai suoi ammiratori, e meta di continui pellegrinaggi. Tutti, sulla stampa, nei ministeri europei e nelle pubbliche conversazioni, si chiedevano quale sarebbe stata la prossima mossa del generale, su quale fronte avrebbe deciso di tornare in campo con i suoi volontari. Avrebbe agito in Veneto per conquistare Venezia e suscitare le rivolte delle nazionalità centro europee contro l’impero asburgico? Avrebbe lanciato tutte le sue forze contro lo Stato pontificio e dato Roma all’Italia? Per qualche mese Garibaldi fu una sorta di eroe disoccupato, un attore alla ricerca del nuovo copione in cui avrebbe dato nuove soddisfazioni al suo pubblico, un enorme capitale in attesa di un impiego corrispondente al suo valore.
Alcuni fedeli cercarono di provocarlo all’azione. Il 14 maggio del 1862 un gruppo di volontari, comandati da Francesco Nullo, si riunì a Sarnico sul lago d’Iseo e cominciò a marciare verso il confine austriaco. Ma l’esercito regio, come ricorda Scirocco, era stato allertato: Nullo e i suoi uomini furono arrestati, rinchiusi nelle carceri di Bergamo e di Brescia. L’episodio suscitò grande scandalo negli ambienti garibaldini, ma anche forti critiche al generale negli ambienti moderati, preoccupati soprattutto dalla necessità di consolidare la rispettabilità internazionale dello Stato unitario e di evitare l’intervento della Francia.
Dopo un breve ritorno a Caprera, Garibaldi s’imbarcò per la Sicilia. Ricercava il calore, l’entusiasmo e la fede del maggio 1860. Le accoglienze furono superiori alle aspettative e lo convinsero che sarebbe stato possibile ripetere il miracolo di Marsala e di Calatafimi, mettere il governo di Torino di fronte al fatto compiuto. Attraversò la Sicilia alla testa di un esercito che si ingrossò lungo la strada, sbarcò in Calabria, risalì la costa, piegò verso l’Aspromonte nella speranza di non doversi scontrare con le truppe italiane a cui era stato ordinato di fermarlo. Lo scontro — scrive Scirocco — ebbe luogo il 29 agosto 1862, durò quindici minuti e lasciò sul campo 7 morti e 14 feriti fra le truppe regie, 5 morti e 20 feriti fra le truppe garibaldine. Uno dei venti feriti era Garibaldi, colpito da due palle alla coscia sinistra e al piede destro. Fu trasportato a Scilla, portato da una lancia sulla pirofregata Duca di Genova, issato a bordo da un paranco. «Come i buoi», disse sorridendo.
Sergio Romano