«La Tradotta» e altre testate, volute da Armando Diaz per tirare su il morale delle truppe, divennero veicolo delle avanguardie. Con testi di d’Annunzio, Ungaretti, Deledda
Gian Antonio Stella Corriere della Sera 19 marzo
«Facendo un largo struscio / nell’ovo che lo serra / or esce fuor dal guscio / il quarto anno di guerra». Lo annunciava allegro uno dei primi numeri de «La Tradotta», che raccontava come dell’anno appena nato si fosse messa «tosto in traccia / per prati e per foreste/ un’orrida vecchiaccia / giallastra con due teste». L’aquila bicipite dell’impero asburgico.
«Fuor dal guscio», ai primi di marzo di quel 1918, uscirono anche i «giornali di trincea». I quali, per una breve stagione fino alla fine della Grande Guerra o poco oltre, rappresentarono una formidabile novità giornalistica, artistica, letteraria. Che coinvolse autori come Gabriele d’Annunzio, Curzio Malaparte, Giuseppe Ungaretti, Mario Sironi, Massimo Bontempelli, Grazia Deledda, Giorgio de Chirico, Ardengo Soffici, Antonio Rubino, Enrico Sacchetti e altri ancora…
Come appunto gli autori del paginone centrale dedicato al mitico 1918, che sarà ricordato come l’Anno della Vittoria, cioè l’illustratore Umberto Brunelleschi (amico a Parigi di Modigliani, Picasso, Soutine, Van Dongen, Derain) e il giornalista Renato Simoni, collaboratore e poi direttore de «La Lettura» del «Corriere», critico teatrale, commediografo, poeta, autore con Giuseppe Adami del libretto della Turandot di Giacomo Puccini, regista e sceneggiatore…
Due fuoriclasse. Che si ritrovarono a combattere e lavorare insieme grazie ad Armando Diaz, comandante supremo dopo la disfatta di Caporetto, e alla sua decisione di istituire i «giornaletti satirici-umoristici» e altre «pubblicazioni per la propaganda patriottica» per incoraggiare, spronare, compattare i soldati donando loro dei momenti di buon umore che spezzassero la tensione della trincea, la noia delle attese, l’angoscia prima dell’assalto. Fu così che videro la luce «La Trincea», «Il Montello», «San Marco», «Signor sì», «La Ghirba», «La Voce del Piave» e appunto «La Tradotta» diretta da Simoni.
Fu un piccolo miracolo, spiega nella prefazione alla bellissima ristampa anastatica di tutti i numeri della rivista raccolti in fascicoli, il collezionista, curatore ed editore Fiorenzo Silvestri. Perché «analizzando tutti i giornali di trincea, si ritrovano, nel complesso, tutte le nuove correnti artistiche d’avanguardia, a quel tempo poco conosciute in Italia, che arrivano in trincea con i loro migliori esponenti». Dall’Art Nouveau al Liberty, dal Futurismo alla Secessione austriaca al Déco e all’espressionismo…
Illustrazioni poetiche o irridenti, malinconiche o sarcastiche, accompagnate da testi di scrittori come Luigi Bertelli, che con lo pseudonimo di Vamba aveva già avuto un enorme successo col Giornalino di Gian Burrasca e scriveva sul «Signor sì» con toni meno scanzonati: «Dell’Italia ti sta innante / l’implacabile nimico / il più acerrimo, il più antico / ladro, vil, falso, arrogante / che fu ognor campione invitto / nella frode e nel delitto». Retorica guerresca che si scontrava sul fronte opposto con analoghi giornali, volantini, manifesti tedeschi. Non meno aggressivi. E talvolta stampati in italiano come se appartenessero alle nostre trincee. «Gli agenti austro-tedeschi», spiegava «La Giberna» del 23 giugno, «si son dati alla truffa più volgare. Stampano un’”Idea democratica”, una “Tradotta”, una “Ghirba”, una “Giberna”: intendono così ingannare il lettore, credendo che questo sia uno sciocco e non capisca il volgare trucco…».
Nella scia di quanto suggerito da Giovanni Albertini, convinto che si dovesse dare alla stampa «l’incarico di tenere alti gli animi», le pagine che spiccano sono quelle di alleggerimento. Come, sulla «Voce del Piave», le strisce di «Herr Kapokien caporale / Nell’esercito imperiale / Fa da scorta e si addormenta / Perché tien la pancia lenta». O la «piccola pubblicità» su «La Marmitta»: «Signorina bella, dote 100.000, sposerebbe nel corrente mese soldato anche del ’99, scaldarancio, purché abbia fatto pesca di tre prigionieri austriaci da portare come testimoni del matrimonio».
Ma è su «La Tradotta» che quel magico equilibrio sospeso tra l’orrore dei combattimenti, la nostalgia per la casa lontana e l’allegria cameratesca necessaria a sopravvivere (equilibrio che Paolo Monelli e Bepo Novello esalteranno ne La guerra è bella ma è scomoda) si afferma come un piccolo capolavoro settimanale. Dalle avventure di «Max Pataten» ai fumetti a puntate sulla lotta agli imboscati: «Il dottor Bertoldo Ciucca / Che ha di molto sale in zucca / Una macchina ha inventato / Che disbosca l’imboscato».
Ed ecco i soldati che sognano le fidanzate a casa: «Due mele son le guance della Nella / la bocca rossa è proprio una ciliegia / e quel nasin vezzoso che la fregia / pare una mandorletta tenerella; / all’ombra delle ciglie lunghe e fine / ha gli occhi grandi come due susine / Certo è la Nella mia, se la guardate / L’immagin sana e calda dell’estate / Rispondon gli altri, “camerata hai torto: / tu non sposi una donna, sposi un orto”» O le poesie come Il fante affardellato: «Senza chieder dove vada / batte il fante la sua strada / batte il fante lo stradone / con la pioggia e il polverone / ché la santa fanteria / marcia sempre in pedovia, / marcia al caldo, marcia al fresco / sul caval di San Francesco».
Per non dire della prima «mappa gastronomica» a colori del Veneto dedicata a Conrad von Hötzendorf, lo stratega della fallimentare Strafexpedition: «Von Conràd si sente in mano / già gli asparagi e Bassano /già pregusta le ciliegie / di Marostica sì egregie /e di Schio tra i monti belli / gusta già polenta e uccelli…». Amavano molto, quei ragazzi precipitati tra le mattanze di una guerra spaventosa, l’insistenza sulle rime baciate che ricordavano loro le filastrocche dell’infanzia. Versi come quelli dedicati ai «ragazzi del 99»: «To’! sui labbri giovinetti / non han ombra di baffetti / sono nati appena ieri, / ieri appena e sono guerrieri / e la massa tedescaccia / non li avvolge e non li schiaccia» (…) «Ah, che orgoglio giovanile / poter dir a tutti: io son / laureato a Caposile / o nell’ansa di Zensòn»
Non mancano gli elogi, oggi impensabili, al tabacco, il compagno di trincea: «Grazie, tabacco: o tu sia giunto al fante / sotto la forma d’un toscan rugoso / o dalla pipa corta e brontolante / abbia tu affumicato il suo riposo / virginio anello o bianca sigaretta / caro tabacco il nostro grazie accetta». Tra gli appuntamenti più attesi dai soldati al fronte c’erano «Le lettere del soldato Baldoria». Dietro le quali c’era Arnaldo Fraccaroli, l’inviato del «Corriere» che nel maggio 1916 aveva descritto la Strafexpedition e qui si rivolgeva col linguaggio dei semplici alla sua amata: «Teresina del mio cuore, ogni volta che indosso la penna per scriverti a te mi sento un gran bruciacuore alle labbra, che sarebbe come una specie di nostalgia ovvero desiderio dei tuoi baci…». Fantastica la risposta di Teresina dopo la vittoria: «Baldoria del mio cuore, prima di tutto allungami le tue labbra di eroe del Piave, che ti ci pianto sopra uno di quei baci nostalgici a uso ceralacca, che non riesci più a distaccartelo che con l’acqua calda. Poi lasciati dire che la tua Teresina del tuo cuore, la quale prima era innamorata di te, adesso che sei vittorioso ti adora a rotta di collo».