Join the Navy, «entra in marina». L’invito non viene da Annapolis, Maryland, dove ha sede la più importante accademia navale degli Stati Uniti d’America. Più domesticamente, da Roma. Lo slogan compare sui manifesti che in questi giorni annunciano nelle nostre città la nuova campagna di reclutamento della Marina militare italiana … lo Stato maggiore insiste con un giovanilismo di maniera che si pretende dinamico e internazionale ma che, riferito a un’istituzione militare della Repubblica italiana, suona alquanto privo di senso…
Adolfo Scotto di Luzio “Corriere della Sera”, 27 gennaio
L’uso di parole inglesi si afferma sempre di più in modo insensato non solo nella pubblicità, ma anche nel linguaggio pubblico, dal mondo dell’economia a quello della politica (ultimi esempi bail in e stepchild adoption), però viene giustificato dai politici, dagli economisti e dai pubblicitari in nome della necessaria integrazione in un mondo globalizzato in cui la lingua inglese di fatto è la lingua universale come era il latino ai tempi dell’impero romano.
Invero ciò mostra che da parte di costoro ci sia subalternità culturale ad altri modelli di vita ed ancor più grave ci sia lo sforzo autolesionista di demolire la lingua italiana.
La lingua di Dante da connotazione dell’identità nazionale, come voluta da Manzoni, Tommaseo, De Sanctis, sta assumendo negli ultimi tempi una funzione ancillare nei confronti delle lingue straniere.
La scuola in questi mesi è alle prese con il concorsone del 2016 che deve portare 63.712 nuovi insegnanti nelle classi da settembre. Due quesiti saranno in lingua straniera: il candidato dovrà rispondere per iscritto e orale a domande sulla sua materia in inglese o spagnolo o francese.
Un prof di greco o latino si troverebbe così a simulare una lezione su Cicerone o Demostene in inglese; un insegnante d’italiano dovrebbe invece spiegare Dante in spagnolo!
Sempre nella scuola, che ha il compito precipuo di formare i cittadini italiani, salvaguardando le radici storiche e culturali del nostro Paese, con l’ultima riforma dei licei si ha l’obbligo d’insegnare in lingua straniera una materia non linguistica nelle quinte classi. Storia dell’Arte o Matematica o altre discipline verrebbero insegnate così in una diversa lingua, nella maggior parte dei casi in inglese.
È Clil, acronimo non a caso inglese, che sta per apprendimento integrato di lingua e contenuto.
Questo in teoria, nei fatti verrebbero sottratti al dominio dell’italiano contenuti culturali importanti e insieme verrebbe svilito il valore di questi stessi contenuti, riducendoli a mero supporto della lingua straniera.
Alla pervasità crescente della lingua inglese nel mondo della cultura e della formazione , nonostante le bacchettate dell’Accademia della Crusca, che prova a difendere l’attualità ed il valore della nostra lingua, fa da controcanto il declino dell’italiano tra i nostri giovani, i quali ne ignorano non solo la grammatica ma perfino il lessico!
Nell’estate del 2015 il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa ha annunciato di voler avviare per il 2016 una serie di corsi di grammatica italiana per i propri studenti, in quanto la competenza della lingua, indispensabile alle professioni forensi, va calando in modo vertiginoso. È ormai noto, secondo rilevamenti Invalsi, che la gran parte degli studenti che escono dalle scuole superiori non sa scrivere, manca dei fondamenti testuali, grammaticali, lessicali, sintattici: dopo le scuole medie si disimpara quel po’di italiano appreso e la tendenza verso il basso continua negli anni dell’università e poi in età adulta.
In conclusione gli italiani stanno dimenticando la loro lingua e provano, da buoni provinciali, senza l’orgoglio della loro storia e della loro cultura, a misurarsi con il mondo, imparando a fatica l’inglese; nel frattempo i migranti per ottenere la cittadinanza italiana devono invece conoscere le nostre leggi e la nostra lingua.
Paradossi della società multiculturale, sorry,.. melting pot!