La Domenica del Corriere 10/17 novembre 2018
LETTERE al Corriere della Sera 20 gennaio 2021
Caro Aldo, ho tre nonni austroungarici. Trentini-Tirolesi. Ogni volta che leggo o sento sugli eroismi italici della «Grande Guerra» io soffro. Soffro per quanto non sufficientemente detto sulla stupidità politica e militare dei vertici che indusse l’Italia al voltafaccia attaccando l’ex alleato, l’Austria, nel famoso 24 maggio, facendo uccidere 640.000 poveri ragazzi. Per che cosa? Soffro per quanto non detto sul dopo, sul disastro economico di Trento e Trieste, divenute italiane. Certo, la storia la scrivono i vincitori. Ma quando smetteremo di leggere quanto scritto da «noi» in quegli anni, finita la guerra, gli anni del fascismo nascente? Con stima e tristezza per quei 640 mila italiani e 250 mila austriaci inutilmente strappati alla vita. Stefano Niccolini
Caro Stefano, Mi rendo conto che la memoria condivisa non esiste; di memoria — l’ha scritto Pierluigi Battista — ognuno ha la sua, e non la può cambiare. I miei nonni e i suoi si sono trovati su due lati diversi della barricata; e nessuno può biasimare nessuno. (L’Austria mandava i sudditi trentini e triestini in Galizia contro i russi o in Serbia; ma alcuni finirono anche sul fronte dell’Isonzo, mentre in duemila disertarono e combatterono nell’esercito italiano). Ma non è vero che non si sia sottolineata la responsabilità delle classi dirigenti italiane — con eccezioni importanti, da Giolitti al mondo cattolico — nella scelta di trascinare il Paese nel massacro della Grande Guerra. Anche sulla pessima conduzione dei combattimenti si è scritto e detto molto. Se però lei mi chiede «per che cosa» si è combattuto, be’, Trento non era una città austriaca; e Trieste, per quanto cosmopolita, neppure. Disastro economico? Il Trentino è incomparabilmente più ricco oggi di un secolo fa. Trieste, che era il porto dell’Impero, a lungo ha perso centralità; ma oggi è tornata un crocevia d’Europa, l’avamposto settentrionale del mondo latino e l’avamposto meridionale di quello tedesco, un crogiolo di anime: la cattolica, l’ortodossa, l’ebraica; la veneta, la mitteleuropea, la slava. Povera, la città di Umberto Saba, Italo Svevo, Gillo Dorfles, Giorgio Strehler, Claudio Magris? Suvvia.
Certo, entrammo in guerra anche per ragioni meno nobili. In gioco era l’egemonia sull’Adriatico. E se la presenza italiana era forte sulle coste istriane e dalmate — territori dolorosamente amputati dopo il disastro del secondo conflitto mondiale —, altrove si pensava di assoggettare altri popoli. Ma, ribadito che l’ingresso in guerra fu un errore, oltre che una sorta di colpo di Stato, nel 1915 tutte le grandi e medie potenze europee stavano combattendo. Quanto all’«alleato austriaco», la Triplice Alleanza era stato un necessario accordo difensivo, dopo la rottura con la Francia; ma con l’Austria avevamo combattuto tre guerre di indipendenza in meno di vent’anni, l’Austria impiccava i nostri patrioti, come fece con Cesare Battisti. L’oscena foto del boia e degli altri che festeggiavano attorno al corpo del martire dell’irredentismo fu pubblicata da un altro suddito dell’imperatore, l’ebreo boemo di lingua tedesca Karl Kraus, ne Gli ultimi giorni dell’umanità, come monito contro la barbarie. ALDO CAZZULLO
Impiccagione di Cesare Battisti Trento, 12 luglio 1916)