L’Italia e le forze militari
Pubblicato dal Mulino un volume a cura di Nicola Labanca
Globalfirepower (Gfp), un sito di informazioni militari alquanto misterioso sulle proprie fonti ma considerato attendibile dagli addetti ai lavori, dal 2006 pubblica ogni anno un indice che valuta le potenziali capacità belliche di un Paese in un conflitto combattuto con armi convenzionali.
Nel 2022 l’Italia risulta all’undicesimo posto su 142 nazioni esaminate, con un indice pari a 0,1801, dopo Francia (0,1283) e Gran Bretagna (0,1382) ma prima di Germania (0,2322) e Spagna (0,2901): la perfezione assoluta (non raggiunta da alcuno) sarebbe un indice pari a 0,0000. Sempre secondo Gfp, l’Italia ha, con 297 mila uomini, il secondo esercito più grande dell’Unione Europea dopo la Francia (415 mila). Sono notizie abbastanza sorprendenti, considerando la distratta indifferenza con cui l’opinione pubblica italiana (non) si occupa di questioni militari. Anche nella campagna elettorale in corso, il tema «difesa» appare del tutto assente dal dibattito politico, nonostante nel cuore dell’Europa sia in corso un conflitto dalle prospettive e conseguenze incerte.
Forse però ci si sorprenderebbe di meno sapendo che le classi dirigenti italiane, dalla nascita dello Stato unitario nel 1861 in poi, «hanno sempre voluto grosse formazioni militari»: dai governi dell’Italia liberale a quello fascista fino ai giorni nostri, dopo la fine della guerra fredda, l’amore per i grandi battaglioni (come li chiamava Napoleone) non è mai cambiato, tanto da poter «essere considerato un carattere originario della storia militare nazionale… un pegno da pagare perché in Europa l’Italia fosse considerata una grande potenza».
È quanto scrive lo storico Nicola Labanca nel saggio introduttivo di Guerre ed eserciti nell’età contemporanea, un libro appena uscito per Il Mulino che va a completare la quadrilogia della casa editrice bolognese dedicata al «rapporto complesso, intricato, luttuoso, sempre diverso, durato appunto secoli, fra italiani, guerre e forze armate». Un quarto volume, dunque, dopo quelli su soldati e conflitti nel periodo antico e nelle età medievale e moderna.
L’opera è divisa in due macro-capitoli, dedicati ai «tempi» e alle «forme» dell’impegno militare italiano dal XIX secolo in poi. I «tempi» sono: Le guerre dell’unificazione (Enrico Francia); L’età liberale (Marco Rovinello); La Grande guerra (Marco Di Giovanni); Il fascismo (Emanuele Sica); Nella guerra fredda e oltre (Nicola Labanca, curatore sia del volume che della quadrilogia). Le «forme» raccontano: Militari come forze di polizia e di ordine pubblico (Hubert Heyriès); La Marina e le guerre per mare (Fabio De Ninno); L’Aeronautica e la guerra tra le nuvole (Riccardo Cappelli); I servizi segreti e le guerre dell’Intelligence (Gastone Breccia); Operazioni internazionali e trasformazione militare (Fatima Farina).
Si tratta quindi di un lavoro collettivo i cui autori, scrive ancora Labanca, sono «tutti operanti nelle Università o da esse da poco formati (…) più giovani di altri (…) ritenendo che sia giunto il momento che una nuova generazione di studiosi e studiose esprima la propria visione».
Un’opera, viene da aggiungere dopo una rapida presa di contatto, qua e là anche felicemente iconoclasta quando va a smontare, su una base documentale, credenze errate passate in modo acritico nella narrazione condivisa. Per esempio, quello di un contributo «eccezionale» svolto dalle Forze armate nel «fare la nazione» mischiando tra loro ceti e classi, mentre in realtà durante gli oltre 150 anni di storia unitaria «in tempo di pace e in tempo di guerra una buona parte della classe dirigente italiana ha semplicemente evitato il reclutamento militare obbligatorio». Oppure il fatto di considerare irrilevanti i risultati ottenuti dalla sparuta aeronautica militare della repubblica di Salò: furono tali nel quadro complessivo del grande conflitto ma non in senso assoluto visto che, a uno sguardo retrospettivo, si presentano «mediamente migliori rispetto a quelli della Regia Aeronautica» (Cappelli), con 239 velivoli avversari abbattuti e 115 perduti in 4.100 ore di volo.
È chiaro che un’opera singola che affronta temi e periodi così ampi e complessi in alcuni casi non può che limitarsi a proporre indirizzi di ricerca: per questo, oltre alla bibliografia generale, ogni capitolo ha una sua lista specifica di testi cui fare riferimento per gli approfondimenti. Un esempio? Indagare su quelle che Fatima Farina nel suo saggio definisce le «contraddizioni irrisolte» della presenza femminile nelle forze armate, che contrariamente alle attese vede una «bassa attrattività presso le donne italiane» e quindi «una minore probabilità di incidere sulla realtà nel senso di una contaminazione di genere».
Paolo Rastelli Corriere della Sera 28 agosto 2022