Tradizione non è adorazione della cenere, ma custodia del fuoco
Gustav Mahler
La riforma del ministero dei Beni Culturali voluta dal ministro Dario Franceschini ed in attesa di diventare legge comporta cambiamenti strutturali dentro l’anima del ministero. In sintesi la struttura centrale viene ammodernata e quella periferica semplificata; si integrano cultura e turismo; si valorizzano i musei (venti di interesse nazionale, dotati di piena autonomia gestionale e finanziaria con direttori altamente specializzati e selezionati con procedure pubbliche); si rilanciano le politiche di innovazione e formazione; si valorizzano le arti contemporanee; si revisionano le linee di comando tra centro e periferia e si tagliano le figure dirigenziali.
Apriti cielo! Gli storici dell’arte in primis sono scesi in campo in difesa delle sovrintendenze, così come si sono costituite negli anni, con appelli e denunce sui media ed hanno accusato il governo di voler mercificare il patrimonio culturale ed artistico dell’Italia, fregandosene della tutela dei monumenti, dei siti archeologici e dei beni culturali, sfruttandone invece le possibilità di ulteriore valorizzazione in senso commerciale, come fossero solo una risorsa economica, ( le nostre bellezze artistiche alla stregua del petrolio degli arabi!).
Il potere politico a sua volta denuncia il troppo potere delle soprintendenze accusate di essere organizzazioni ancora ottocentesche, corporazioni monocratiche che decidono sulla vita dei cittadini senza alcun controllo democratico.
In questa disputa tra conservatori e rottamatori sul governo delle istituzioni museali si sottace invece su una questione di maggior importanza e cioè sul ruolo e sul significato dei beni culturali in una Nazione.
Antonio Paolucci, già ministro dei Beni Culturali e soprintendente a Firenze, attualmente direttore dei Musei Vaticani in un’intervista all’Avvenire se da una parte si schiera con gli storici dell’arte contro le logiche manageriali, insite nella riforma Franceschini, rivela sia la sua soddisfazione ed anche la sua preoccupazione per l’alto numero dei visitatori nell’ultimo anno ai Musei Vaticani ( ben 6 milioni!), una pressione antropica però eccessiva, che potrebbe mettere a rischio nel tempo la conservazione del museo.
D’altronde se il turismo di massa è quel feticcio economico che tutti cercano sia chi vuole conservare sia chi vuole valorizzare queste non possono che essere le conseguenze.
Eppure Paolucci, dismessi i panni di manager del suo museo, nella stessa intervista in maniera concisa ed efficace aveva colto il valore ed il forte significato dei beni artistici, affermando che il nostro patrimonio culturale prima che a produrre ricchezza serviva a creare dei cittadini, a fare degli Italiani un popolo con la propria identità e specifiche caratteristiche culturali… e che questa era la nostra vera forza!
Attualmente è proprio cosi?
Quanti fiorentini, in particolare i giovani, conoscono gli Uffizi? E certo non sono sufficienti le visite scolastiche che nella maggior parte sono fatte con lo stesso criterio del mordi e fuggi del turismo di massa.
Prima una fuggevole visione della Primavera del Botticelli e poi a zonzo per le vie cittadine, non accorgendosi gli studenti in questa loro pacifica invasione di quante altre bellezze, sia pure minori, la città possiede.
Il problema quindi è quello sì di fare i conti con i fenomeni di globalizzazione del mercato e della cultura, ma di ricordarsi anche che le finalità sia della tutela che della valorizzazione dei beni culturali sono soprattutto la salvaguardia e la trasmissione di una memoria storica, costitutiva dell’identità politico- culturale di un popolo. Infatti la formazione della coscienza nazionale dei cittadini nasce oltre che nella scuola nel riconoscersi in maniera consapevole in tutto quel materiale, stratificato nel tempo, (monumenti, opere, oggetti, paesaggio), che rende peculiare e bella l’Italia.
Altrimenti si trova il nostro petrolio, ma si perde sicuramente il nostro popolo!